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[Pattume ricomincia a gettarsi sull'anacoreta gridandogli nell'orecchio; l'eremita tenta invano di scrollarselo di dosso]

Pattume: Pater!

Pantaleo: [spaventato] Chi è? Stai ita!

Pattume: Pater, Pater! Io son qui veniuto per mi confessare lo meo grande peccato perocché tu solo fortificato dalli digiuni e dalle esotiche speculazioni ne potrai reggere botta tanto mai è esso orripilante! Paateeeer!!

Pantaleo: Figlio, non mi pizziccare comsì! Face caldo! Lassame l'orecchio!

Pattume: Romito dammi la 'recchia ché vi versi dentro la mia piramidale nequizia!

[Finalmente Pantaleo allontana da sé il pover uomo]

Pattume: Te ne fo preghiera, Pater. Ti impetro.
[Pattume con uno scatto d'ira getta un pugno sulla catasta di libri e si alza in piedi]
Ossia te ne fo dovere! Romito, fatti umìle, di fronte allo umano peccato, ed in virtù de li poteri tui, ascolta, ed absolve, se puoi. Te lo impongo!

[L'eremita rimane un attimo interdetto]

Pantaleo: È giusto. È giusto. Veni, filio!

[Pantaleo accoglie sotto la sua coperta Pattume che dall'interno di quel confessionale siffatto si sente bisbigliare nel descrivere il peccato all'anacoreta. Verso la fine del racconto le espressioni di Pantaleo passano dalla sufficienza all'incredulità, al rifiuto, al puro terrore]

Pantaleo: EH?! NO!

Pattume: E SÌÌÌ!

Pantaleo: NOO!

Pattume: SÌÌÌ!!

Pantaleo: NOOO!!

Pattume: SÌÌÌÌÌ!!!

Pantaleo: NOOOOOOO!!!

[All'urlo di Pantaleo un terremoto scuote la caverna e un'enorme faglia si apre nel terreno: tutti scappano, mentre Pattume, ridendo, e Pantaleo, ancora ululante, finiscono inghiottiti nelle profondità della terra]

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