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Falce martello e la stella d'Italia | ornano nuovi la sala. Ma quanto | dolore per quel segno su quel muro! | | Esce, sorretto dalle grucce, il Prologo. | Saluta al pugno; dice sue parole | perché le donne ridano e i fanciulli | che affollano la povera platea. | Dice, timido ancora, dell'idea | che gli animi affratella; chiude: "E adesso | faccio come i tedeschi: mi ritiro". | Tra un atto e l'altro, alla Cantina, in giro | rosseggia parco ai bicchieri l'amico | dell'uomo, cui rimargina ferite, | gli chiude solchi dolorosi; alcuno | venuto qui da spaventosi esigli, | si scalda a lui come chi ha freddo al sole. | | Questo è il Teatro degli Artigianelli, | quale lo vide il poeta nel mille | novecentoquarantaquattro, un giorno | di Settembre, che a tratti | rombava ancora il canone, e Firenze | taceva, assorta nelle sue rovine. | | (Dal Canzoniere, cit.) | | | Il torrente | | Tu così avventuroso nel mio mito, | così povero sei fra le tue sponde. | Non hai, ch'io veda, margine fiorito. | Dove ristagni scopri cose immonde. | | Pur, se ti guardo, il cor d'ansia mi stringi, | o torrentello. | Tutto il tuo corso è quello | del mio pensiero, che tu risospingi | alle origini, a tutto il fronte e il bello | che in te ammiravo; e se ripenso i grossi | fiumi, l'incontro con l'avverso mare, | quest'acqua onde tu appena i piedi arrossi | nudi a una lavandaia, | la più pericolosa e la più gaia, | con isole e cascate, ancor m'appare; | e il poggio da cui scendi è una montagna. | | Sulla tua sponda lastricata l'erba | cresceva, e cresce nel ricordo sempre; | sempre è d'intorno a te sabato sera; | sempre ad un bimbo la sua madre austera | rammenta che quest'acqua è fuggitiva, | che non ritrova più la sua sorgente, | né la sua riva; sempre l'ancor bella | donna si attrista, e cerca la sua mano | il fanciulletto, che ascoltò uno strano | confronto tra la vita nostra e quella | della corrente.

Umberto Saba

Titolo della poesia: Teatro degli Artigianelli

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