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23 novembre 1927
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Negli USA i valori religiosi sono molto sentiti. Ciò fa onore a questo grande paese dove si è creato un modello di società che deve far riflettere anche gli altri popoli.
Coloro che sostengono che il riconoscimento della Croazia da parte della Santa Sede influì negativamente, o addirittura provocò la guerra, sbagliano. La scelta della Santa Sede fu motivata proprio dalla necessità di far cessare la guerra e le gravi violenze che già erano in atto nella ex Jugoslavia, che a quel punto non esisteva più, nei fatti, come Stato unitario. Inoltre c'era un larghissimo consenso per il riconoscimento della Croazia da parte della comunità internazionale, tanto che l'iniziativa tedesca e della Santa Sede del 13 gennaio 1992 anticipò solo di pochi giorni quella degli altri Stati. È vero che vari esponenti politici degli Usa dubitavano al riguardo, e così pure vari leader politici socialisti europei. Gli eventi successivi fecero però vedere l'opportunità di quella tempestiva decisione della Santa Sede. Mi è sempre piaciuta una frase dell'ex cancelliere tedesco Helmut Kohl, che allora disse: "Talvolta il Signore fa una passeggiata nella storia avvolto da un grande mantello, e fortunato sarà chi saprà cogliere l'occasione ed afferrare quel mantello". Più laicamente altri dissero: si trattò di un sorriso della storia.
Da parte della Santa Sede vi è l'auspicio che si introduca nella Carta delle Nazioni Unite un principio nuovo, e cioè la possibilità, anzi il dovere, di un intervento umanitario in casi conclamati, in cui i diritti umani all'interno di una nazione siano calpestati.
La storia ha voluto che, dopo lunghi e pazienti contatti informali, che si intensificarono dopo la caduta del Muro di Berlino del '89, la maggior parte dei rapporti diplomatici si perfezionasse proprio nel 1992. In quel nuovo clima di libertà ‐ per il quale l'Europa poteva tornare a respirare «a due polmoni», per usare una metafora cara a Giovanni Paolo II ‐ la Santa Sede colse l'occasione per portare il suo contributo allo sviluppo dei popoli che si aprivano a una nuova fase politica e per assicurare la libertà religiosa. Ciò obbedì da una parte al desiderio dei nuovi governi di allacciare contatti regolari con la Chiesa di Roma, di cui riconoscevano il grande contributo alla libertà dei loro popoli; d'altra parte corrispondeva al desiderio della Santa Sede di contribuire al rinnovamento spirituale di questi popoli. Così, nel decisivo quadriennio 1989-1992, la Santa Sede ha potuto stringere rapporti diplomatici con ben 28 nuovi Stati: 6 dell'Europa Orientale, 12 sorti dalla dissoluzione dell'ex Unione Sovietica (7 in Europa e 5 in Asia Centrale) e i 3 Stati baltici. Inoltre, tra i nuovi Paesi in cui la Santa Sede ha potuto iniziare la sua presenza, ben 7 erano dell'area balcanica (i 6 dell'antica Federazione Jugoslava più l'Albania, che nel 1992 aprì la sua ambasciata a Roma). Con tale nuova presenza, la Santa Sede ha oggi regolari rapporti diplomatici con tutti i 47 Stati membri del Consiglio d'Europa, di cui fanno parte anche la Turchia e il Kazakistan, in quanto una parte del loro territorio è nel continente europeo.
I terroristi sanno che se una democrazia stabile prendesse piede a Baghdad metterebbe in difficoltà anche i paesi vicini come l'Iran e l'Arabia Saudita, dove ancora si va in prigione per il possesso di un Crocefisso.
La comunità cattolica sa di essere minoritaria, ma vuole essere come un lievito di vita spirituale, cooperando con la comunità ortodossa e con i fratelli musulmani per il bene del Paese. Questo è il cammino tracciato da Giovanni Paolo II nel corso della sua visita in Kazakistan nel 1991 e riconfermato in varie occasioni da Benedetto XVI. A tale consegna la Chiesa in Kazakistan vuole essere fedele.
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