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Francesca Mannocchi
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Francesca Mannocchi
Giornalista italiana
1 ottobre 1981
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anche in questi temi:
Domande
Maternità
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La prima volta in cui ho lasciato mio figlio Pietro per andare in Iraq aveva 40 giorni.
[Sulla sclerosi multipla]
Improvvisamente mi sono trovata di fronte all'imprevedibilità della malattia, qualcosa che era assolutamente al di là del mio controllo. Come capita a tanti nelle mie stesse condizioni, sono venuta a contatto con quelle che a me sembravano le ingiustizie del sistema sanitario, con la fatica per trovare la giusta strada per avere le risposte che servono. Contemporaneamente, ho incontrato persone incredibilmente virtuose, che mi hanno fatto pensare in questi anni che davvero la fatica del singolo è il cemento che costruisce la comunità. I medici, le ricercatrici, lo staff intero dell'Ospedale con cui sono stata a contatto mai una volta hanno risparmiato un'attenzione, una chiamata, un messaggio su Whatsapp, un controllo a un'ora impensata, un consiglio all'alba. Mi hanno fatto pensare e toccare con mano che questo tipo di incontri significa essere parte di una comunità.
Possiamo fare domande. E farci domande. È l'unico diritto e prima ancora l'unico dovere che abbiamo: provare ad entrare nelle aporie, negli spazi di non comprensione, negli spazi di contraddizione anche dolorosa. Alcune domande resteranno inesorabilmente senza risposta, ma è la forza delle domande che crea la ricerca, costruisce la pubblica opinione e le scelte che poi facciamo.
[Sulla sclerosi multipla]
Nel 2016 improvvisamente una mattina, mentre ero in Sicilia per lavoro, mi sono svegliata con la parte destra del corpo dalla spalla al piede formicolante, addormentata. Questa sensazione è durata ininterrottamente per sei giorni, notte e giorno, fastidiosa al punto che non potevo guidare. Poi il formicolio è terminato da solo, senza che facessi niente, ma sono cominciate delle fastidiosissime scosse elettriche sul braccio sinistro. Ho pensato che fosse l'espressione di un momento di particolare tensione lavorativa e che non ci fosse quindi niente di particolare di cui preoccuparsi. Ma una parte di me mi diceva che quello che stavo provando era tutto straordinariamente anomalo.
[...]
Sono andata da un medico, amico di famiglia. Gli ho raccontato in dettaglio i miei sintomi. Era un pomeriggio di sole e lui ha scritto la lista degli esami che avrei dovuto fare. Il quesito diagnostico, sulla ricetta, era: "sospetta sindrome demielinizzante". Una parola che non avevo mai sentito nella mia vita. Appena uscita dal suo studio ho cercato su Google cosa significasse, cadendo in una sorta di precipizio, di panico. La prima catena di parole ed eventi che mi si è stampata nella mente è stata: degenerazione, sedia a rotelle, non sarò più in me, starò male, morirò. La mia vita è andata a nero con i pensieri
[...]
Il tempo che è passato tra la prima risonanza magnetica, la ricerca di un neurologo e di uno staff cui fare riferimento, le altre analisi, fino alla decisione sulla terapia da scegliere. Poi
[...]
dal momento in cui ho iniziato la terapia è stato tutto facile.
Un giorno, mentre attraversavamo un vicolo di tre metri a Mosul, nell'Iraq appena liberato, io e Rodi siamo stati lisciati dai colpi di un cecchino. Due colpi sordi, puliti. "Mannocci, our lucky day". Il nostro giorno fortunato. Non è stato il solo.
Quando fai l'esperienza della maternità, cioè del dare vita a un altro e prenderti cura di lui, attivi recettori dell'attenzione che prima non avevi.
Essere madre mi consente in qualche modo di "super-vedere" le cose, di vedere le cose oltre quello che sono. Una delle parole abusate del giornalismo e della vita quotidiana è "empatia". L'esperienza di avere un figlio, di diventare madre, supera l'empatia e ti consente un grado di attenzione costante all'altro. Un'attenzione che non può consumarsi nel tempo rapido di un'intervista ma diventa una pratica continua che non puoi mai abbandonare.
Che illusione, il potere, per chi è seduto sulle poltrone, il potere in Libia lo fa la strada.
Rispetto ai bambini, che siano i figli delle vittime di Isis o i figli dei miliziani di Isis, tento tenacemente non già di raccontare l'oggi, ma di raccontare immediatamente ciò che noi possiamo fare per il loro domani. Il racconto del loro oggi, purtroppo, è una storia di strazio e di dolore; il tentativo che tutti noi dovremmo proporci è invece cosa cambiare e come.
Sono sempre stata una persona molto attenta alle fragilità degli altri, ai problemi degli altri, anche per il lavoro che faccio. Ma Pietro
[il figlio]
ha indubbiamente moltiplicato questa vista.
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