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Sergio Rubini
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Sergio Rubini
Attore, regista e sceneggiatore...
21 dicembre 1959
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[«Cosa la attraeva della metafora di malattia che c'è appunto in Dracula?»]
Il fatto che in fondo Dracula sia uno straniero, anche se è la nostra zona d'ombra. E mi ha affascinato anche il fatto che Stoker ha tratto la paura e l'ignoto, avendo percepito che ci fosse qualcosa su cui la scienza ancora non era arrivata e che avrebbe dovuto fare.
Le donne hanno più coraggio, mentre gli uomini sono avvezzi a rimandare, sono geneticamente portati all'insabbiamento. Già nei cessi del liceo fra maschi si diceva: negare sempre, a qualsiasi costo.
Del mestiere di regista mi piace la possibilità di narrare, non tanto di avere il controllo: certo, devi sapere tutto, avere le idee chiare. L'attore sale su una motocicletta guidata da uno sconosciuto e non sa dove lo porterà. Quando guidi tu, devi sapere dove andare. E devi lavorare per potere convincere gli altri a fidarsi di te.
L'idea che tutto parta da te, che sei protagonista della tua vita fa bene. Dall'altro lato, però, imputo al mio analista di avermi tolto l'altrove, la metafisica, la capacità di credere che un giorno potrebbe arrivare la telefonata che ti cambia la vita. È come se non potessi più credere nella fortuna o nella sfortuna.
In Dracula c'è il sottosuolo, è la nostra parte scura e la cosa che mi piaceva nel libro di Stoker è la metafora sulla malattia mortale che può colpire tutti terrorizzandoci.
Non sono uno di quelli che raggiunti i cinquanta sentono di dover fare ciò che non hanno fatto quando ne avevano sedici. Da tanti anni ho una compagna e sono felice proprio perché non devo colmare mancanze.
Col tempo, ho imparato che parlare fa bene. Il tacere agevola sul momento, ma la lungimiranza mi porta a credere che mentire o stare zitti non aiuti.
Non mi interessa il brand Dracula. Mi piace invece la sua inquietudine sottesa. In Dracula c'è il sottosuolo, c'è la nostra parte oscura. Pur essendo sterminato e ampiamente saccheggiato, il romanzo offre diversissime letture. Il mio è un Dracula laico in cui ho letto sostanzialmente la metafora della malattia mortale che può colpire tutti terrorizzandoci. Il male assoluto.
[Su Dracula]
Il testo è molto affascinante: arriva prima dell'ingresso in scena di Freud e dell'inconscio. Parliamo di un'epoca rozza, in cui la paura era ancora fuori di noi: tutto quello che arrivava dall'esterno si affrontava con lo spiritismo, il mesmerismo, ipnotismo, illusionismo.... Si andava alla ricerca della chiave d'accesso ai mostri, alla zona oscura. Dracula era lo straniero, il pericolo.
In realtà, il romanzo di Bram Stoker nella sua interezza non potrebbe mai essere rappresentato in teatro e al cinema perché al suo interno racconta una marea di storie e Jonathan Harker nel romanzo è solo in parte il protagonista, mentre nel nostro spettacolo è il protagonista assoluto.
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