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Sabrina Impacciatore
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Sabrina Impacciatore
Attrice, comica e imitatrice italiana
29 marzo 1968
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Un giorno mi telefonano i miei agenti: "Sabrina, devi fare assolutamente questo provino per The White Lotus". Rispondo impulsivamente: "Ragazzi, non me la sento: sto girando un altro film e sono concentrata sul mio personaggio". Insistono: "È un progetto pazzesco, vediti almeno la prima stagione". Quella notte l'ho guardata. E ho fatto l'alba. Sono rimasta folgorata e mi sono detta che dovevo assolutamente prendermi quel ruolo, ma avevo solo una domenica per poter realizzare il self-tape che avrei mandato alla produzione. Ho ripetuto le scene per tutto il giorno, fino alla nausea. A tarda sera non avevo nemmeno mangiato, ma ero stanchissima e dovevo ancora scegliere il meglio delle registrazioni da mandare al regista. In lacrime, stravolta, chiamo una mia amica e la imploro di venire ad aiutarmi. Lei lavora in un ristorante e molla tutti all'improvviso per venire da me. L'amicizia per me è il suono del citofono di quella sera. Siamo rimaste in piedi fino alle 4 del mattino per selezionare i provini. Quando poi i miei agenti mi hanno cercata per dirmi che ero stata scelta sono impazzita. Ridevo e piangevo, ma non potevo ridere e non potevo piangere perché ero a teatro. Raggiungo l'uscita e telefono subito a mia madre. Mio padre era venuto a mancare da un mese e lei si è messa a urlare: "Grazie Enea, grazie, grazie!".
"Non potrai mai fare l'attrice perché non sei abbastanza bella". Avevo diciotto anni. Quel giudizio mi ferì moltissimo, ma la bellezza è la cosa più relativa che esista al mondo. In America vado agli appuntamenti e mi dicono "You are so beautiful", non è che creda di essere davvero bella per questa ragione.
I miei genitori erano entrambi molto contrari e io li ringrazio. La loro opposizione mi ha permesso di mettere alla prova la mia determinazione. E siccome non potevo pagarmi i corsi di recitazione, da quando avevo 18 anni mi sono data a mille lavori: ho fatto la commessa, la baby-sitter, la venditrice di polizze assicurative. Sono molto orgogliosa del mio percorso, dei miei sacrifici.
La bellezza per me è legata alla possibilità di emozionare.
[...]
Ci sono dei volti che sono dei paesaggi: volti che cambiano a seconda della luce. La bellezza di Charlotte Gainsbourg ad esempio è una bellezza assoluta secondo me, è legata anche al suo carisma, a una sorta di mistero che non ti viene rivelato.
Ogni volta che interpreto un personaggio mi ci immergo completamente. Una volta un terapeuta, alla fine di un mio monologo a teatro, mi disse: "Sabrina, lei si deve proteggere altrimenti rischia di oltrepassare il limite e di farsi male". Ma io penso di avere sempre un punto a cui torno: una solidità interiore molto definita. So di potermi allontanare tanto senza però smarrirmi. E di poter tornare a dov'ero prima, ogni volta più arricchita. Forse non è un caso che io sia finita in America perché il mio è un approccio molto americano alla recitazione.
Mi chiamo Sabrina perché mia madre si era innamorata di Audrey Hepburn e dopo aver visto l'omonimo film di Billy Wilder sognava una figlia così. In fondo forse era destino. E poi mia madre in qualche modo era legata al cinema: prima di diventare impiegata al ministero delle Finanze, aveva lavorato per un paio d'anni alla Vides come dattilografa. Batteva a macchina i copioni.
Mia madre iniziò a cercare un chirurgo che potesse operarlo, mio padre non poteva lavorare e io ero alla disperata ricerca di aiuto. Così chiamai Gianni Boncompagni, con cui avevo lavorato in passato a Domenica In come ragazza pon-pon. Gli chiesi se poteva aiutarmi a trovare un lavoretto qualsiasi. Fu netto: "Non ho mai raccomandato nessuno in vita mia: il massimo che posso farti avere è un colloquio". Ne feci tre in Mediaset e fui assunta come segretaria di redazione. Poi un giorno fu lo stesso Boncompagni a dirmi che ero sprecata per lavorare in un ufficio e volle farmi un provino per "Non è la Rai". Mi inventai dal nulla "la posta di Sabrina": una cosa banale, ma a suo modo divertente. Le lettere che scrivevo effettivamente facevano ridere perché prendevo in giro i miei difetti fisici e accendevo un faro sui problemi di tutte le adolescenti. Mi diede il via e mi mandò in onda dal giorno dopo senza mai chiedermi in anticipo cosa avrei fatto. Si fidava ciecamente e credeva davvero in me. Venne a casa dei miei per il mio compleanno e mi regalò una collana. I ladri me l'hanno rubata, ma mi sono tenuta comunque stretta la frase che disse ai miei genitori: "Sabrina sarà la nuova Raffaella Carrà".
Studiavo recitazione e una mattina durante le lezioni, venne Carmelo Bene a osservare gli studenti. Un paio di giorni dopo mi chiamò per un'audizione a casa sua. Erano le 3 di pomeriggio: l'emozione di bussare alla sua porta me la ricorderò per sempre. Mi aprì un maggiordomo in livrea e mi disse di accomodarmi in un salottino. L'arrivo del maestro fu preceduto da un rumore impossibile da dimenticare e che ancora oggi mi rimanda ancora a quell'istante: il tintinnio del ghiaccio nel suo bicchiere di whisky. Mi fece domande per un'ora e mezza e poi mi disse: "Adesso entrerà un'altra candidata, ma lei non se ne vada". Mi fece assistere a tutte le altre audizioni delle ragazze. Le distrusse tutte. Era spietato. Alla fine della giornata mi disse: "Sabrina, lei è l'unica degna di stare accanto a un genio". Mi ingaggiò per fare una ricerca sul Don Chisciotte che doveva durare tre anni, ma rinunciai perché una manciata di giorni prima di partire per questo progetto, mio padre ebbe due infarti e la mia famiglia crollò nella rovina assoluta. In quell'occasione mi aiutò Boncompagni.
Sul mio diario avevo scritto "Un giorno la tua vita sarà un film". Così è stato, a volte però è un horror. Ma va bene, non avevo specificato il genere.
Ho vissuto di sorprese e delusioni, ma non li definirei rimpianti. Mi sarebbe piaciuto interpretare "Non ti muovere" e ci sono andata vicina, anzi vicinissima. Oggi ne rido, ma al tempo fu un dolore. Avevo letto "Non ti muovere" di Margaret Mazzantini ed ero rimasta impressionata dal personaggio di Italia, la protagonista, tanto da prendere carta e penna e scrivere a Margaret Mazzantini, l'autrice del libro, ringraziandola per avermi dato l'opportunità di incontrare un personaggio così struggente a figura esemplare, vittima designata della violenza di altri esseri umani. Poi Sergio Castellitto decise di mettere in scena il libro e quando partì il casting per il film fui veramente felice di essere convocata per un provino.
[...]
Per prepararmi feci cose da matta vivendo per più di due settimane, letteralmente, nei panni di quel personaggio. Smisi di lavarmi i capelli come Italia, comprai i vestiti di scena nei mercatini romani modificandoli e cucendoli per somigliarle, convinsi per strada una donna Rom a vendermi la sua borsa. Per quindici giorni ho camminato da zoppa, da sciancata per le vie di Roma, rischiando attenzioni indesiderate e non sempre gentili. Tra l'altro, per prepararmi al ruolo di una donna che aveva subito abusi, inibii completamente la libido dimenticando per mesi la sessualità e il mio incolpevole fidanzato. La notte prima del provino mi svegliai pensando che le scarpe che avrei portato al provino non fossero abbastanza vissute: scesi in strada in pigiama alle quattro del mattino, le misi al centro della carreggiata e ci passai sopra con il motorino. Il provino andò benissimo: mi telefonò Moira Mazzantini, la mia agente di allora, una persona speciale, e mi disse: "Piccolé, sei stata brava, hai commosso tutti". Passò qualche settimana e mi ritelefonò. Il tono era cambiato: "Piccolé, ho una brutta notizia. Penelope Cruz ha letto il libro e vuole fare il film". Ho capito subito che era finita e ho pianto per due mesi. Poi mi ha salvata l'ironia: l'ho ribattezzata Penelope Puz. Da allora non sono più stata capace di pensarci senza farmi una bella risata.
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