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Commenti alla frase di Walter Benjamin

  • Secondo me è irrilevante che la frase la abbia pronunciata Benjamin (che la cita in un suo saggio) oppure László Moholy-Nagy, evidentemente il concetto era condiviso da entrambi, tant'è che lo stesso Benjamin non giudica necessario citarne Moholy-Nagy quale fonte, come rileva Dragan.
    Il quale prende spunto per una analisi critica sulla fotografia che mi sembra francamente vecchia e superata. Oggi, in epoca digitale, ai tempi di instagram, gli argomenti su cui discutere sono altri.

    Da: Vilma
    Data: sabato 28 dicembre 2013 alle ore 18:12
  • Forse Bnjamin intendeva solo un pò enfatizzare l'arte della fotografia e l'importanza che essa assumerà sepre più nel nostro mondo culturale.
    Però, veramente credo, che anche se conosci la fotografia e non l'alfabeto potresti essere un buon analfabeta...di oggi, del futuro, di sempre...e ciò senza sminuire in alcun modo la nobile arte della comuniczione fotografica.
    ciaociao ciaociao, ulysse

    Da: ulysse
    Data: giovedì 30 agosto 2012 alle ore 12:06
  • Il linguaggio della fotografia è molto complesso, porta a vedere e a credere, a ignorare o a prendere coscienza, a condannare o ad assolvere...
    Ma per potere convincersi del giusto (termine strettamente scolpito su chi osserva una foto) è necessario essere in possesso degli strumenti di lettura, la sintassi dell'immagine e della sua storia.

    Da: Atilio Scimone
    Data: giovedì 30 agosto 2012 alle ore 10:31
  • Questa frase non è di Benjamin (che la cita in un suo saggio), ma di László Moholy-Nagy

    Da: Arianna
    Data: venerdì 29 luglio 2011 alle ore 19:32
  • Nel 1931 Walter Benjamin pubblica nella rivista berlinese Die literarische Welt un saggio dal titolo Piccola storia della fotografia che si conclude riportando e commentando una frase del pittore e fotografo ungherese, attivo a Berlino, Laszlo Moholy-Nagy: “ Non colui che ignora l’alfabeto, bensì colui che ignora la fotografia, sarà l’analfabeta del futuro”
    L’artista proclama l’avvento della società della visione e dei suoi nuovi linguaggi;
    Benjamin commenta causticamente: “Ma un fotografo che non sa leggere le proprie immagini non è forse meno di un analfabeta?” riportando l’indice dell’attenzione sulla capacità di comprendere i contenuti.
    Tutto questo è contenuto nell’edizione italiana (Einaudi ed. 1966/ 91/ 2000), W. Benjamim, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, dove Benjamin, senza riportare il nome di Moholy-Nagy, scrive:
    “Non colui che ignora l’alfabeto, bensì colui che ignora la fotografia, -è stato detto-
    sarà l’analfabeta del futuro” ed aggiunge:”Ma un fotografo che non sa leggere le proprie immagini non è forse meno di un analfabeta? La didascalia non diventerà per caso uno degli elementi essenziali dell’immagine?”
    Ogni commento sulla superficialità con cui quasi tutti coloro che si occupano di fotografia in rete in Italia, abbiano attribuito la frase di Moholy_Nagy al filosofo tedesco sarebbe vano se non fosse che, fra i tanti, troviamo purtroppo anche numerose Scuole di “cultura fotografica”, corsi, workshop, premiati festival di fotografia etc.
    Una superficialità, per non dir peggio, sintomatica della condizione della fotografia italiana dove poche riviste di basso livello solleticano le voglie di fotoamatori involuti, dove pseudo critici e galleristi interessati alimentano il mercato con immagini banali ma rigorosamente in grande formato.
    Così cantieri in costruzione sono fotografati zolla per zolla, cani volpini ripresi dietro la cancellata di casa, per renderci edotti dell’opera di devastazione dell’uomo, tutto rigorosamente col banco ottico, ci mancherebbe..., impiegato anche da altri dall’aereo per fotografare le città, con, pensate, le zone cementificate a fuoco ed il verde sfuocato, o viceversa, per far sembrare il mondo un grande modellino; altri ancora e sempre col banco, strumento indispensabile, pare, per produrre ”arte”, fotografano le spiagge e le piazze proclamando “…perché fra cinquant’anni non saranno più così…” e bloccano lo sviluppo colore per provocare uno straniamento dell’immagine che fa esclamare ohh allo spettatore, ma il concetto rimane da cartolina: saluti dal mare..!
    Presunti maestri creano una carriera con composizioni Polaroid, cosa che pittori come David Hockney avevano già sperimentato e con ben più costrutto alla fine degli anni 70, per non parlare di quelli e ce ne sono tanti, che riportano in stampa la banda verticale del negativo 35mm tra una foto e l’altra, o cercano con la panoramica elementi strutturali che facciano lo stesso effetto fra un’immagine e l’altra, qualunque immagine, purché faccia effetto.
    Conta l’Effetto perché per i contenuti è necessario pensare prima, servono capacità riflessive che si maturano con l’interesse, lo studio, e ciò costa fatica.
    Pseudo critici sproloquiano sul “concettuale”, viceversa come ci ricorda Claudio Marra, docente D.A.M.S., in un suo testo, una macchia di ruggine non ha alcun che di concettuale, rimane un processo ossidativo; ed Ernst H. Gombrich scrive: “ La lettura di un’immagine è di una desolante facilità e ci urta …Ce ne sentiamo insultati…”.
    Questa fotografia italiana sta all’arte fotografica come i film di bassa lega stanno alla cinematografia dei vari Kubrick, Fellini, Forman etc: come i primi fa girare denaro ma di mercato si tratta, non di arte, di mercato rionale.
    Per fortuna, rimanendo volutamente all’Italia e dimenticando per un attimo la grandezza degli attuali Nachtwey, Salgado, Luc Delahaye e i tanti che li hanno preceduti, ci possiamo consolare con le immagini dei bravi fotografi italiani come Berengo-Gardin, Mario De Biasi, E.Ciol, Ferdinando Scianna, e la nouvelle vague del poetico e reporter Paolo Pelligrin, Campigotto, Zizola..
    Se accettiamo l’idea che per non essere una cartolina l’immagine debba suggerire qualcosa di diverso oltre a ciò che effettivamente mostra, allora comprendiamo che il fotografo adempie ad un compito che si è prefisso, esprime la realtà come interpretazione d’idee personali, non riprende quel che vede ma quel che sa e che vuole condividere, mettendo insieme similitudini, analogie, contrasti, simboli, metafore visive, che ci rappresentano ed interpretano il nostro tempo.
    Così un’immagine, nello spettatore attento e in grado di recepire, ne evoca mille altre insieme a riflessioni, ricordi ed emozioni.
    Credo che questo debba essere fotografare ed invoco la clemenza della corte per questa mia animosa filippica riportando una frase di Roland Barthes: “ …la foto…mi anima: e questo è appunto ciò che fa ogni avventura.”
    Miro Dragan
    Contatti: [email protected]

    Da: Miro Dragan
    Data: lunedì 7 marzo 2011 alle ore 3:54

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