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Carlos Sainz
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Carlos Sainz
Pilota F1 spagnolo
1 settembre 1994
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[Sul periodo di quarantena]
La squadra è composta dalle mie due sorelle, mamma e papà ed io ovviamente. Sono diventato l'allenatore della famiglia Sainz. Ho dato a tutti e quattro un piano di allenamento e di alimentazione, facciamo adesso l'operazione bikini prima dell'estate. Non avremo mai più opportunità così, di mangiare sano e regolare una volta che tutto ricomincerà, quindi ne approfittiamo ora, senza viaggi, ristoranti, pizza e hamburger. Mi sono trasformato nello Zidane di casa Sainz. Cerco di approfittare di questo momento per fare quelle cose che non ho mai tempo di fare. Sistemare la mia stanza, quelle cose o magliette che non uso mai e che adesso sto raccogliendo perché le voglio mandare a chi ne ha bisogno davvero, a qualche ONG. Sto tanto con la mia famiglia ora che ho finito la mia quarantena. La più felice di questa situazione è ovviamente la mamma che può averci tutti con sé, non è più abituata a vedermi così tanto.
[marzo 2020]
Quello che conta in F1 è sempre l'ultima gara.
In Ferrari è diverso perché i tifosi sono veramente appassionati e pazzi per la F1 e la squadra. Si tratta di qualcosa che non ho mai vissuto prima. Ho visto gente impazzire per me in Spagna, ma qui puoi vedere che i tifosi sono pazzi per qualcosa di più grande di te. È come se tu avessi il compito di rendere orgoglioso tutto il marchio, tutto il paese. Non te stesso o il pubblico. Hai il compito di portare il Cavallino in alto. È come giocare per una squadra nazionale: stai rappresentando l'Italia quando guidi per la Ferrari.
Sono molto orgoglioso. Soprattutto venire in una squadra come la Ferrari, indossare il Rosso ogni fine settimana, non lo do per scontato, perché so quanto è difficile e quanto ha significato, quanto mi è costato arrivare qui, quanto ho dovuto sacrificare e lottare per questo.
Papà mi ha aiutato tantissimo: era il primo a dirmi quando stavo sbagliando, quando non facevo bene le cose. A volte è stato un genitore molto cattivo, molto duro, con me. Però questo mi ha permesso di arrivare dove sono arrivato, mi ha portato a essere un pilota e una persona migliore. Sul momento è dura accettarlo, magari potevi vincere o fare un podio, non ci sei riuscito e c'è ancora tuo padre che non è contento e sa che potevi far meglio. Ma alla fine se io sono in F.1 con questi risultati è grazie a come mi ha educato: è stato sempre il mio riferimento. Abbiamo avuto una fortuna: la gente non può paragonarci. Lui era nei rally, io in F.1, nessuno può dirmi: "Tuo papà era più bravo, guidava meglio". Sono due discipline diverse. Ma senza di lui sarebbe stato tutto più difficile.
[...]
Se litighiamo è perché lui pensa di aver ragione e io penso di aver ragione. Da adolescente avevo proprio voglia di andargli contro, dicevo no se lui diceva sì e viceversa. Ma è normale per tutti. Se torno indietro penso che in tante di quelle occasioni non lo contraddirei, spesso aveva ragione. Ma è vero che mi è servito perché adesso faccio la mia strada, mi fido delle mie sensazioni, del mio modo di vedere le cose:
[...]
so cosa è meglio per me e capisco di cosa ho bisogno. Ma un consiglio lui può sempre darlo e io lo ascolterò sempre.
Questa è la Formula 1. I venti piloti migliori del mondo sono qui e inevitabilmente dovrai competere contro di loro se vuoi diventare campione del mondo, anche se sono compagni di squadra. Fa parte del gioco. Se hai timore di andare contro un qualsiasi pilota, allora questo sport non fa per te.
[Su amicizia e rivalità]
Ecco, da piccolo è stata la cosa più difficile che ho dovuto imparare: separare questi due aspetti della vita. Io sono sempre stato un tipo aperto, amichevole, uno a cui piace raccontare le proprie cose agli altri piloti. A 11 anni andavamo a mangiare tutti insieme il pezzo di pizza o il piatto di pasta. Poi scendevamo in pista e io pensavo che eravamo tutti amici. E invece mi sbattevano fuori, mi colpivano da dietro, lottavamo per corse importanti, le sconfitte facevano male. Ero sempre con mio padre che mi diceva: "O mordi o ti mordono", e io non lo capivo. Non potevo comprendere come la gente potesse cambiare tanto il proprio modo di essere. Finché non ho imparato a farlo anche io: in pista devi mordere, ma fuori dalla pista continuo a essere me stesso.
La storia della Ferrari, l'eredità che lascia. Questo sarà qualcosa su cui rifletterò, specialmente una volta ritirato. Quando sarò più anziano, seduto sul mio divano, ripenserò a quanto è stato bello aver fatto parte di tutto questo.
A volte capita nella carriera di un pilota di salire su una macchina
[...]
e senza fare nulla di particolare, semplicemente guidando come ti piace fare, vai subito bene. Altre volte sali
[su]
un'altra monoposto, credi di aver fatto un buon tempo sul giro, e poi vedi che c'è chi ha fatto meglio. A quel punto ti chiedi come mai, visto che la sensazione era quello di essere andato veloce.
C'è una cosa di cui sono molto sicuro, ed è che ogni compagno di squadra che ha lavorato con me, ogni team principal, ogni ingegnere che ha esaminato i miei dati, mi ha valutato come un grande talento, e se lo dicono è probabilmente perché hanno visto cosa sono in grado di fare. Sanno che sono molto veloce sul bagnato e questo è normalmente qualcosa che si addice ad un pilota di talento. Forse c'è chi vorrebbe che fossi più spettacolare, non so, sinceramente mi basta il giudizio delle persone che leggono la mia telemetria e che lavorano con me. Se nel resto del paddock non è così, beh, forse è un po' colpa mia. Non mi piace dire "questo è stato il giro della mia vita", o cose del genere, non è il mio modo di fare, e forse questo trasmette un'altra percezione.
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