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Ilaria Salis
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Ilaria Salis
Attivista e politica italiana
17 giugno 1984
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È difficile dire cosa sia l'Europa oggi senza considerare la sua storia. Quando si parla di immigrazione, ad esempio, dobbiamo tenere a mente cosa sono stati il colonialismo e la decolonizzazione. La storia del '900 ha mostrato dove possono portare nazionalismo e guerra e per quasi mezzo secolo una cortina di ferro ha separato due sistemi politici, economici, sociali e culturali contrapposti. L'Europa di oggi affonda le sue radici in queste vicende: facendo i conti con il proprio passato troverebbe certamente spunti per affrontare il presente e costruire il proprio futuro.
Nel mio caso, la solidarietà, nel segno dell'antifascismo e della lotta contro l'ingiustizia, è stata decisiva per riscrivere un copione che sembrava già scritto. Mi impegnerò affinché questa energia possa continuare a fare la differenza. Per me. Per tutti gli antifascisti. E, soprattutto, mi auguro che possa ispirare il cambiamento, trasformando questo nostro mondo in un luogo più giusto, più libero e più lieto.
A Budapest fa molto freddo, è febbraio, e l'aria è tagliente. Il taxi su cui sto viaggiando accosta lungo una delle arterie principali della città, proprio di fronte al Teatro dell'Opera, un capolavoro di architettura neorinascimentale che adorna la capitale magiara. Siamo in pieno centro, è sabato pomeriggio, e la città è brulicante di vita.
Sono giunta a destinazione, ma non faccio nemmeno in tempo a pagare e a scendere dalla vettura che un poliziotto si affaccia al finestrino del passeggero. Con tono pacato farfuglia, in un inglese sbilenco, qualche parola che dal sedile posteriore non riesco a sentire chiaramente. Mentre frugo nel marsupio alla ricerca dei fiorini per pagare la corsa, immagino si tratti di un normale controllo. All'improvviso, però, diverse auto della polizia arrivano a gran velocità e si dispongono disordinatamente tutto attorno al taxi, bloccando il traffico. Cosa diavolo sta succedendo?
Conosco l'Ungheria dal suo luogo più oscuro: il carcere. Lì, sono stata detenuta in custodia cautelare, in condizioni dure, per 15 mesi.
[...]
Sotto il governo di Viktor Orbán, l'Ungheria è diventata un regime illiberale e oligarchico, uno stato etnico autoritario. Alcuni lo definiscono persino una "tirannia moderna". Quel che è certo è che lo stato di diritto e la libertà dei media non sono garantiti. Il dissenso è criminalizzato e la società civile è repressa. Mentre gli oligarchi fedeli al capo si sono arricchiti, le disuguaglianze sociali e regionali sono peggiorate. I diritti delle minoranze sono sistematicamente violati e il razzismo è divenuto mainstream.
[...]
Questa nuova e pericolosa forma di fascismo rappresenta la variante autoritaria del capitalismo globale dei nostri tempi.
Genova 2001 è spesso ricordata con dolore. È stata tante cose, e certamente anche un grande trauma collettivo. Ma oltre alla sofferenza, dobbiamo imparare a custodire anche la memoria della straordinaria forza di quel movimento. Quella strana creatura plurale del nuovo millennio, che si faceva chiamare "movimento dei movimenti". Un movimento che aveva saputo anticipare i tempi. Che indicava la necessità di un'alternativa internazionalista alla globalizzazione capitalista. Che costruiva alleanze tra mondi diversi, che affratellava i popoli oltre i nazionalismi, che componeva le differenze. Con tutti i suoi limiti, certo. Ma con un enorme potenziale di cambiamento. Siamo ancora ovunque. Carlo vive!
[4]
Scrivere queste pagine è come avere a che fare con una belva selvaggia. La sento sempre dentro di me, questa strana creatura. Quando si agita, diventa un vero e proprio mostro: subdolo, feroce. Si nasconde nelle profondità più oscure di ciò che sono, assume forme cangianti e poi mi attacca, senza preavviso. È pronta a tendermi agguati, a colpirmi, anche se non sempre in modo diretto né comprensibile.
Non posso far altro che accettare la sua presenza. Non ho scelta. La mia strategia per convivere con questo ospite inatteso è accoglierlo per quello che è, persino con la sua carica potenzialmente distruttiva. E, perché no, tentare di farci amicizia. Possiamo diventare complici, io e la belva, invece di trattarci da nemici? Certo, il rischio che la nostra relazione sui generis non funzioni è concreto. Ma voglio credere che, a forza di tentativi e con la giusta disposizione, potremmo persino volerci bene, un giorno.
Uno dei modi migliori per prendersi cura dei propri traumi, e magari trasformarli in forza, è accoglierli ed elaborarli. Io ho iniziato a farlo raccontandolo, il grande trauma della mia carcerazione in Ungheria. Nella narrazione cerco di trasformare ciò che tanto mi ha angosciato in qualcosa di familiare. Anche per questo ho deciso di condividere questa storia drammatica con un tono per lo più leggero e scanzonato: per aprirmi alla belva.
Ho ripreso in mano il "quaderno del carcere", il mio quadernone blu pieno di note scritte a penna. Ci annotavo, con la meticolosità di una galeotta, dati, aneddoti, impressioni, particolari. Ogni volta che vi leggo qualche parola, la caverna della memoria si spalanca e rigurgita fuori brandelli di emozioni e frammenti di vita, come una mareggiata che deposita detriti sulla spiaggia. Ho cercato di raccogliere quel materiale caotico e ricomporlo, dandogli una forma, un senso. L'ho fatto innanzitutto per me stessa, ma anche per restituire la mia storia a chi mi ha sostenuto e ha lottato al mio fianco, trasformandola in una battaglia collettiva. E per condividerla con chiunque voglia conoscere il mio punto di vista.
Eppure la storia non è affatto finita. La strana belva dentro di me si nutre non solo del passato, ma anche, e soprattutto, del futuro.
Le destre non vogliono creare le condizioni e gli strumenti affinché le persone possano superare le loro insicurezze. Al contrario favoriscono dinamiche di regressione umana, sociale e politica. Perciò è importante impegnarsi per migliorare le condizioni materiali di vita e stimolare percorsi di crescita.
[...]
la solidarietà, forza coraggiosa e collettiva capace davvero di cambiare il mondo, deve essere il faro che ci aiuta a mantenere la rotta.
A volte, veramente, mi stupisco di come una certa parte di giornali o una certa parte di politica riesca a strumentalizzare le narrazioni fino a capovolgerle. Non capisco come si faccia a trasformare chi si occupa delle persone che non hanno casa a persone che occupano e, quindi, tolgono la casa ad altri. I movimenti per la lotta per la casa si occupano di case del patrimonio pubblico, che sono lasciate sfitte perché c'è un sistema che non funziona.
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