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Vincenzo Spadafora
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Vincenzo Spadafora
Politico italiano
12 marzo 1974
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anche in questi temi:
Rifiuti
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Chi ha un ruolo pubblico, politico come il mio ha qualche responsabilità in più. Ho deciso di dire ora di essere omosessuale per me stesso, perché ho imparato forse molto tardi che è molto importante volersi bene e soprattutto rispettarsi.
«Mamma, ma che fai? Perché chiudi le finestre? Non fa poi così caldo da accendere il condizionatore.» «È meglio, è meglio, credimi.» In realtà, sapevo perché mia madre barricava casa. Per via della puzza che arrivava fino a noi, a Cardito, portata dall'aria della zona che un tempo era buona e ora mefitica, a tratti insopportabile. Uno dopo l'altro serrava i vetri per tenere fuori quel miscuglio di ossigeno e chissà cos'altro.
Io sono figlio suo e della Terra dei fuochi. I miei primi 8 anni di vita si sono consumati tra Afragola, Cardito, Frattamaggiore e Caivano, tutti paesi che oggi figurano nell'elenco di quelli «appestati», insieme ad Acerra, Casal di Principe... Ma perché ripassare il mesto elenco? Non c'è lista, né contabilità delle morti presunte per inquinamento in grado di dare senso al dolore che provo nel sentir definire le mie zone il «quadrato della vergogna». Quadrato, perché pare che l'area interessata dallo sversamento di rifiuti urbani e tossici a opera della criminalità organizzata sia di venti chilometri per venti. Venti per venti.
[Sulla Terra dei Fuochi]
Fino a pochi anni fa la puzza non si sentiva, è cominciata quando hanno iniziato ad appiccare i fuochi per creare spazio nelle fosse naturali e nelle voragini create abusivamente dalle ruspe: toccava bruciare il bruciabile per far scendere la massa di rifiuti. Non bastava più scaricare, ammucchiare e nascondere (anche sotto teloni di plastica), bisognava eliminare. Lo spettacolo luciferino dei bagliori e dei fumi notturni è arrivato dopo. Molto tempo prima che mia madre si decidesse a chiudere le finestre, e insieme a lei tante altre persone semplici, la camorra aveva già perpetrato uno dei più grandi danni ecologici mai registrati. Ma la gente ignorava la possibilità che i casi di tumore e leucemia avessero a che fare con i terreni che vedevamo dalle nostre finestre. Non è giusto buttare la croce sulla povera gente, dire che erano tutti conniventi, anche solo col silenzio, liquidando la questione con la solita arma del «chi è senza peccato scagli la prima pietra». Non è così. Non questa volta.
L'Italia è piena di Terre dei fuochi, perché lo smaltimento dei rifiuti è il più grande business per la malavita, più della droga e della prostituzione.
Se dovessi mettere un'apposizione al mio nome, non saprei quale scegliere. Ci ho provato anche giorni fa, volendo creare la mia pagina su Wikipedia. Niente da fare, stesso imbarazzo di quando, alla classica domanda da inizio conversazione, «Che lavoro fai?», invidiavo chi poteva rispondere con un semplice: «Sono medico, operaio, impiegato, commesso, avvocato, poliziotto, maestro». Io no, io non ho mai avuto una sola parola per liquidare la questione e passare oltre, mi sono sempre arrabattato con frasi semplici che avessero una parziale attinenza con l'attività del momento: il più delle volte, per fortuna, l'interlocutore si è accontentato di tanta vaghezza, forse per non sembrare inopportuno o perché, nell'incertezza, preferiva fingere di aver capito tutto. Anch'io ho capito una cosa: non riuscirò mai a essere contenuto in una parola, perché sono privo di una laurea da esibire e non ho un lavoro stabile. Sono quello che faccio e ho fatto. Sono quello che penso e sogno. Sono un quarantenne cresciuto faticosamente, apparentato col dolore
[...]
che ha lottato in famiglia per non passare da fesso quando s'impegnava nel sociale, che è nato nella Terra dei fuochi, dove basta un niente per finire nel giro sporco dei soldi facili e dei disvalori. Io, invece, senza eroismi né narcisismi, ho cercato di costruire un mondo migliore, sicuro che ci sia una via alternativa. Sempre. Oggi più che mai non voglio vedere marcire, insieme ai rifiuti, le istituzioni. E le speranze dei singoli, in particolare dei giovani che hanno davanti tanto futuro: loro sì che possono ignorare il metro da sarto.
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