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Alex Schwazer
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Atleta italiano
26 dicembre 1984
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Non sapete quante volte a casa ho detto che volevo smettere e tutti a dirmi che dovevo andare avanti, che avevo il potenziale per essere il più forte. Pressioni e sacrifici. Non avete idea quanti sacrifici servono per una sola gara. E se va male sei un coglione. Non voglio essere più giudicato per una prestazione. Sono stufo. Sogno una vita e un lavoro normale. Carolina compete perché ama il suo sport, io perché ero bravo in quello sport, ma non mi piaceva allenarmi per 35 ore la settimana, non ce la facevo più. Tutti vedono solo la gara e la vittoria, ma dietro ci sono allenamenti pazzeschi e sacrifici di anni. E non ne potevo più.
Questa è stata la mia più bella gara, non la dimenticherò mai.
[8 maggio 2016, vincendo la sua prima gara disputata dopo la squalifica per doping]
Quando vinci pulito pensi che puoi farcela sempre, poi cresci e pensi che non puoi farcela più.
L'anno scorso, dopo tre anni molto duri per me e dopo gli Europei dissi che non avevo emozioni e avrei potuto smettere. A fine 2011 dopo una stagione travagliata dovevo prendere delle decisioni, e con le Olimpiadi davanti non ero più lucido e non sono riuscito a dire di no a questa tentazione di doparmi. Mi dispiace, ho fatto questo grande errore. Questa decisione l'ho presa da solo e ho deciso di non dirlo a nessuno, né alla mia fidanzata, né alla mia famiglia.
All'epoca non avevo intenzione di doparmi, ma volevo una preparazione che avesse senso, perché in Italia se gara va bene è merito di tutti, se va male l'atleta è debole di testa. Mi servivano delle tabelle di allenamento. Volevo dare un senso per un anno al culo che mi faccio ogni giorno.
Questa tre settimane sono state terribili. Ogni giorno mi alzavo alle 2, 3, 4, 5 del mattino perché sapevo che dalle 6 poteva arrivare il controllo antidoping e dovevo dire alla mia fidanzata di non aprire, sennò ero positivo.
Io spero che i giovani mi seguano nel senso di non fare quello che ho fatto io. Non vale la pena di mettere tutto in gioco per un trionfo. La vita è fatta di tante cose, famiglia, amici: giocarsi tutto come ho fatto io non ha senso. A Pechino ho vinto perché ero sereno ed è quella la chiave di tutto.
La fatica, il sudore e il sacrificio sono la ricompensa più grande.
Sto correndo.
Sono le sei del mattino, il paese dorme ancora.
Il termometro segna meno tredici gradi. Quando avrò finito dovrò farmi una doccia e filare a scuola. Poi andare al palaghiaccio per l'allenamento di hockey.
E allora perché sono venuto a correre? Non lo so neanch'io, a essere sincero. So soltanto che mi piace, che mi fa bene. Mi aiuta a sviluppare una maggiore resistenza fisica, credo. Ma soprattutto mi dà un senso di direzione. Uno scopo. Mi sto impegnando in qualcosa di unicamente mio. Con tutte le mie forze. La fatica, il sudore e il sacrificio sono la ricompensa più grande.
Il mio primo obiettivo era sempre la velocità. La corsa contro il tempo.
Ogni giorno cercavo di migliorare la prestazione precedente. L'anello lungo il fiume è di tre chilometri, perciò la sfida era restare sotto la soglia dei dieci minuti. Ah, quanto mi ci è voluto per superare quel traguardo. E che gioia, quando finalmente ce l'ho fatta.
Da quel giorno ho alzato l'asticella. Se davvero volevo correre contro il tempo, dovevo farlo in salita. E così, a forza di cercare, ho trovato un altro sentiero che parte a poche centinaia di metri dal parcheggio Sadobre. Non è in piano come questo, anzi si inerpica per il fianco della montagna fino a un pianoro dominato da un'antenna. Il mio obiettivo era arrivare fin lassù senza mai fermarmi, correndo a più non posso, in meno di mezz'ora. Quando ce l'ho fatta, ho alzato un'altra volta l'asticella. Da qualche parte avevo letto che Pietro Mennea portava dei pesi alle caviglie, così ho provato.
Be', funziona. Appena li togli, hai lo sprint di una lepre.
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Schwarzkopf, Elisabeth
Schweitzer, Albert
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