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Valerio Massimo Manfredi
Valerio Massimo Manfredi
Frasi di Valerio Massimo Manfredi - pagina 3
Valerio Massimo Manfredi
Scrittore, storico e archeologo...
8 marzo 1943
Frasi in elenco
:
62
‐
Pagina:
3
di
7
Puoi trovare le
frasi di Valerio Massimo Manfredi
anche in questi temi:
Destino
Sognatori
Mondo
Povertà
Guerra
Aquile
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Sognare non costa nulla e per un po' è come vivere un'altra vita: quella che tutte avremmo voluto e che non abbiamo né avremo mai.
Una quercia non può generare un giunco e un'aquila non può dare alla luce un corvo.
[Diomede]
Un lampo illuminò a giorno la strada luccicante di pioggia e il volto tumefatto del maestro. Un tuono esplose in mezzo al cielo ma lui non si scosse. Strinse al petto la sua borsa e disse, scandendo le parole con enfasi: «Il suo nome era Dionisio, Dionisio di Siracusa. Ma il mondo intero lo chiamò... il tiranno!»
I poveri sono uguali in tutto il mondo.
[Tenefo, hittita]
Le donne pensano in modo diverso. Voi uomini pensate solo alla vendetta, all'onore, a mostrare il vostro valore di guerrieri, ma questo non fa che perpetuare gli odi, rinvigorire i rancori. Voi inseguite la gloria, noi piangiamo i nostri figli, i nostri fratelli, i nostri padri e mariti. (Arete)
Troia bruciava ancora in un rogo immane, dardi di fuoco piovevano dal cielo con strepito assordante, ombre di guerrieri caduti ancora urlavano strazio tra il fumo e le fiamme, spettri inquieti e senza pace alle soglie dell'Hades. E sarebbe bruciata per giorni e notti fino a ridursi in cenere. Il bagliore delle fiamme m'indicava la via.
Due uomini per ognuna delle mie navi raggiunsero la riva lottando contro la violenta risacca e le ancorarono a terra piantando saldi picchetti di quercia. Dissi loro di asoettarmi e di non allontanarsi per alcun motivo e m'incamminai in direzione della città. Ancora mi chiedo perché non mi fermai per la notte a dormire con i miei uomini, perché tornai sul luogo dell'insidia e del massacro, e non trovo risposta.
Vidi dall'alto le navi di Agamemnon e degli altri re rimasti con lui ancorate di poppa e con la prua al mare. Anche loro si stavano preparando alla partenza. Forse si erano convinti che non c'erano sacrifici ed ecatombi che potessero riparare gli orrori commessi, ripagare del sangue di tanti inermi innocenti. Ritrovai la strada, passai tra gli stipiti bruciati delle porti Skaiai e salii verso la rocca. In tempo per assistere a un evento sconvolgente. Il cavallo che avevo costruito crollava in quell'istante divorato dalle fiamme. Solo ora lo avevano raggiunto, isolato. E alto com'era, a dominare la città e la reggia, si accasciò a terra in un vortice di scintille e di fumo bianco. La testa fu l'ultima a dissolversi nel rogo.
Era un giovane sulla trentina, alto, robusto, dai lineamenti forti, facili da ricordare. Certamente un forestiero, non l'aveva visto mai da quelle parti. Camminava da un po' lungo l'argine del fiume, su e giù, fermandosi ogni tanto a guardare la corrente. Per un paio di volte s'era avvicinato al cancello del laboratorio come se volesse entrare; poi s'era allontanato.
Quando venne l'ora di chiudere, il marmista ripose i suoi attrezzi e si avviò all'uscita.
Se lo trovò davanti, improvvisamente.
Di pelle scura, occhi grandi e fondi, i raggi obliqui del sole gli scolpivano la faccia e le braccia nude, duramente:
«Sei tu il padrone qui?» gli chiese.
«Si, perché?»
«Dovresti farmi un lavoro.»
«Lo vedi, sto per chiudere. Sei qui da un pezzo, non potevi deciderti prima?»
Il giovane non rispose.
«E non puoi tornare domani?»
«No, domani devo partire... per un viaggio. Starò via molto tempo.»
«Se è così...» Il marmista tornò indietro e riaprì la porta del laboratorio.
Efira, Grecia nordoccidentale, 16 novembre 1973, ore 20
Tremarono improvvisamente le cime degli abeti, le foglie secche delle querce e dei platani ebbero un brivido ma non c'era un soffio di vento e il mare lontano era freddo e immoto come una lastra di ardesia.
Parve al vecchio studioso che tutto tacesse d'un tratto, il pigolio degli uccelli e l'abbaiare dei cani e anche la voce del fiume, come se le acque lambissero le sponde e le pietre dell'alveo senza toccarle, come se la terra fosse pervasa da un oscuro, subitaneo tremore.
Si passò una mano tra i candidi capelli, si toccò la fronte e cercò dentro di sé il coraggio di affrontare, dopo trent'anni di caparbia, infaticabile ricerca, la vista della meta.
Nessuno avrebbe potuto dividere con lui quel momento. I suoi operai, Yorgo e Stathis, già si allontanavano dopo aver riposto gli attrezzi, con le mani in tasca e il bavero rialzato e il rumore delle loro suole sulla ghiaia della strada era il solo nella sera.
Io sono siciliano... un greco di Sicilia, come voi, come tutti gli altri, razza di bastardi figli di Greci e di donne barbare. "Mezzi barbari" ci chiamano nella cosiddetta madrepatria. (Dionisio)
Sappiamo esattamente dove si trovava il Mausoleo grazie ad alcuni scavi che vennero effettuati verso la metà dell'Ottocento ad Alicarnasso. Era a destra del teatro e di fronte alla baia. Una simile posizione ha un significato importante che si collega con la tradizione delle colonie greche, dove, al centro della città, sorgeva il monumento funerario del fondatore. Questi era nominato dall'oracolo e quindi aveva un carisma particolare, una sorta di sacralità.
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