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Valerio Massimo Manfredi
Valerio Massimo Manfredi
Frasi di Valerio Massimo Manfredi - pagina 5
Valerio Massimo Manfredi
Scrittore, storico e archeologo...
8 marzo 1943
Frasi in elenco
:
62
‐
Pagina:
5
di
7
Puoi trovare le
frasi di Valerio Massimo Manfredi
anche in questi temi:
Destino
Sognatori
Mondo
Povertà
Guerra
Aquile
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L'uomo arrivò poco dopo il tramonto quando le ombre cominciavano ad allungarsi sulla città e sul porto. Avanzava a passo svelto portando a tracolla una bisaccia, e si volgeva intorno di tanto in tanto con una certa aria apprensiva. Si fermò nei pressi di un'edicola di Persetene, e il lume che ardeva davanti all'immagine della dea ne rivelò l'aspetto: i capelli brizzolati di chi ormai aveva superato la mezza età, il naso dritto e la bocca sottile, gli zigomi alti e le guance scavate, in parte coperte da una barba scura. Lo sguardo, inquieto e sfuggente, manteneva tuttavia un'espressione di dignità e di contegno che contrastavano con l'aspetto dimesso e con il vestiario consunto, rivelando una condizione elevata anche se decaduta.
Imboccò la strada che conduceva al porto orientale e cominciò a scendere verso la darsena, dove erano più numerose le bettole e le osterie frequentate dai marinai, dai commercianti, dagli scaricatori e dai soldati della flotta. Corinto viveva un momento di prosperità e i suoi due porti brulicavano di vascelli che importavano ed esportavano merci in tutti i paesi del mare interno e del Ponto Eusino. Nel quartiere meridionale dove c'erano i magazzini del frumento era facile udire l'accento siciliano in tutte le sue variazioni di tono: agrigentina, catanese, geloa, siracusana...
Siracusa... a volte gli sembrava di averla dimenticata, ma bastava un nulla per richiamare alla memoria i giorni della sua infanzia e della maturità, per ritrovare le luci e i colori di un mondo ormai trasfigurato dalla nostalgia, ma soprattutto dall'amarezza di una vita segnata inesorabilmente dalla sconfitta.
Era giunto davanti alla taverna ed entrò dopo essersi guardato intorno un'ultima volta.
Conosci qualcuno che meriti di morire? Sprofondare nel buio lasciando per sempre il profumo dell'aria e del mare, i colori del cielo, dei monti e dei prati, il sapore del pane e l'amore delle donne... c'è qualcuno che merita un simile orrore, solo per il fatto di essere nato?
[Tenefo, servo hittita]
Firmai io la pace, appena ebbi il potere per farlo, e cercai di mantenerla. Ma non incutevo paura a nessuno e perfino i filosofi volevano insegnarmi a governare... In capo a dieci anni la grande costruzione di mio padre era in rovina e non sarebbe risorta mai più. Un vecchio generale inviato dalla Metropoli, Timoleonte, sconfisse i Cartaginesi e mi tolse il potere. Poi mi confinò qui, a Corinto, da dove erano partiti i nostri padri fondatori, tanti secoli fa... (Dionisio II)
Il vento.
Soffia senza sosta attraverso le strettoie del monte Amano come dalla gola di un drago e si abbatte sulla nostra pianura con violenza disseccando l'erba e i campi. Per tutta l'estate.
Spesso per la maggior parte della primavera e dell'autunno.
Se non fosse per il ruscello che scende dai contrafforti del Tauro non crescerebbe nulla da queste parti. Solo stoppie per magri armenti di capre.
Il vento ha una sua voce, continuamente modulata. A volte è un lungo lamento che sembra non doversi placare mai; altre volte un sibilo che s'insinua di notte nelle crepe dei muri, nelle fessure tra i battenti delle porte e gli stipiti, avvolgendo ogni cosa con una foschia sottile e arrossando gli occhi e inaridendo le fauci anche quando si dorme.
Gerusalemme, anno decimottavo
del regno di Nabucodonosor,
il nove del quarto mese.
Undecimo del re di Giuda, Sedecia.
Il profeta volse lo sguardo verso la valle gremita di fuochi e poi verso il cielo deserto e sospirò. Le trincee cingevano i fianchi di Sion, gli arieti e le macchine ossidionali minacciavano i suoi bastioni. Nelle case desolate i bambini piangevano chiedendo pane e non v'era chi lo spezzasse per loro; i vecchi si trascinavano per le strade sfiniti dal digiuno e venivano meno nelle piazze della città.
«È finita» disse rivolto al compagno che lo seguiva dappresso. «È finita, Baruc. Se il re non mi da ascolto non ci sarà salvezza per la sua casa né per la casa del Signore. Gli parlerò un'ultima volta ma non ho molte speranze.»
Riprese il cammino attraverso le strade vuote e si fermò dopo un poco per lasciar passare un gruppo di persone che trasportavano, senza pianto, un feretro con passo frettoloso. Solo la salma si distingueva nel buio per il colore chiaro del sudario che l'avvolgeva. Li guardò per un poco scendere quasi trotterellando per la strada verso il cimitero che il re aveva fatto aprire a ridosso delle mura e che da tempo non era più sufficiente a contenere i cadaveri che la guerra, la fame e la carestia vi riversavano ogni giorno in grande numero. «Perché il Signore sorregge Nabucodonosor di Babilonia e gli consente di imporre un giogo di ferro a tutte le nazioni?» chiese Baruc mentre il profeta riprendeva il cammino. «Perché si allea con lui che è già il più forte?»
I raggi del sole nascente bagnarono le vette del Tauro, i picchi innevati si tinsero di rosa, scintillarono come gemme sulla valle ancora nell'ombra. Poi il manto lucente cominciò a distendersi lentamente sui gioghi e sui fianchi della grande catena montuosa risvegliando dai boschi la vita addormentata.
Le stelle impallidirono.
Il falco si librò per primo in alto a salutare il sole, e le sue strida acute echeggiarono sulle pareti rupestri e sulle forre, sugli aspri dirupi fra cui scorreva spumeggiante il Korsotes, gonfiato dallo sciogliersi delle nevi.
Shapur I di Persia, il re dei re, dei Persiani e dei non Persiani, il signore dei quattro angoli del mondo, riscosso da quel grido alzò lo sguardo a scrutare l'ampio volo del signore delle altezze, poi si avvicinò al purosangue arabo splendidamente bardato che gli portava lo scudiero. Un servo si inginocchiò perché lui potesse appoggiare il piede sulla sua gamba flessa e balzare in sella. Altri due servi gli porsero l'arco e la scimitarra dal fodero d'oro e un alfiere gli porse al fianco impugnando lo stendardo reale: un lungo vessillo di seta rossa con l'immagine in oro di Ahura Mazda.
Aveva fatto bene a risparmiarlo: i poeti non dovrebbero mai morire perché ci regalano quello che altrimenti non potremmo mai avere. Essi vedono molto oltre il nostro orizzonte, come se abitassero sulla cima di una montagna altissima, odono suoni e voci che noi non udiamo, vivono molte vite contemporaneamente, e soffrono e gioiscono come se queste vite fossero reali e concrete. Vivono l'amore, il dolore, la speranza con un'intensità sconosciuta anche agli dèi. (Abira)
Sono sempre stata convinta che siano una stirpe a sé stante: ci sono gli dèi, ci sono gli umani. E ci sono i poeti. Essi nascono quando il cielo e la terra sono in pace fra loro o quando scocca la folgore nel cuore della notte e colpisce la culla di un bambino senza ucciderlo, sfiorandolo soltanto con una carezza di fuoco. (Abira)
Tu sei ancora capace di soffrire? (Leptines)
Dall'alto della collina Alessandro si volse a guardare la spiaggia, a contemplare uno spettacolo che si ripeteva quasi uguale a distanza di mille anni: centinaia di navi allineate sulla riva del mare, migliaia e migliaia di guerrieri, ma la città alle sue spalle, Ilio, erede dell'antica Troia, non si preparava ora a un assedio decennale, anzi gli apriva le porte per accoglierlo, lui discendente sia di Achille che di Priamo.
Vide i compagni che salivano a cavallo per raggiungerlo e spronò Bucefalo verso la rocca. Voleva entrare per primo e da solo nell'antichissimo santuario di Atena Iliaca. Affidò lo stallone a un servo e varcò la soglia del tempio.
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Altri autori di aforismi
Manfredi, Nino
Manganelli, Giorgio
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