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Valerio Massimo Manfredi
Valerio Massimo Manfredi
Frasi di Valerio Massimo Manfredi - pagina 4
Valerio Massimo Manfredi
Scrittore, storico e archeologo...
8 marzo 1943
Frasi in elenco
:
62
‐
Pagina:
4
di
7
Puoi trovare le
frasi di Valerio Massimo Manfredi
anche in questi temi:
Destino
Sognatori
Mondo
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Guerra
Aquile
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Era un giovane sulla trentina, alto, robusto, dai lineamenti forti, facili da ricordare. Certamente un forestiero, non l'aveva visto mai da quelle parti. Camminava da un po' lungo l'argine del fiume, su e giù, fermandosi ogni tanto a guardare la corrente. Per un paio di volte s'era avvicinato al cancello del laboratorio come se volesse entrare; poi s'era allontanato.
Quando venne l'ora di chiudere, il marmista ripose i suoi attrezzi e si avviò all'uscita.
Se lo trovò davanti, improvvisamente.
Di pelle scura, occhi grandi e fondi, i raggi obliqui del sole gli scolpivano la faccia e le braccia nude, duramente:
«Sei tu il padrone qui?» gli chiese.
«Si, perché?»
«Dovresti farmi un lavoro.»
«Lo vedi, sto per chiudere. Sei qui da un pezzo, non potevi deciderti prima?»
Il giovane non rispose.
«E non puoi tornare domani?»
«No, domani devo partire... per un viaggio. Starò via molto tempo.»
«Se è così...» Il marmista tornò indietro e riaprì la porta del laboratorio.
La Storia. La Storia è il giudice. Essa ricorda chi ha fatto il bene degli esseri umani e condanna chi li ha oppressi, chi li ha fatti soffrire senza motivo. (Filisto)
Le donne pensano in modo diverso. Voi uomini pensate solo alla vendetta, all'onore, a mostrare il vostro valore di guerrieri, ma questo non fa che perpetuare gli odi, rinvigorire i rancori. Voi inseguite la gloria, noi piangiamo i nostri figli, i nostri fratelli, i nostri padri e mariti. (Arete)
L'uomo arrivò poco dopo il tramonto quando le ombre cominciavano ad allungarsi sulla città e sul porto. Avanzava a passo svelto portando a tracolla una bisaccia, e si volgeva intorno di tanto in tanto con una certa aria apprensiva. Si fermò nei pressi di un'edicola di Persetene, e il lume che ardeva davanti all'immagine della dea ne rivelò l'aspetto: i capelli brizzolati di chi ormai aveva superato la mezza età, il naso dritto e la bocca sottile, gli zigomi alti e le guance scavate, in parte coperte da una barba scura. Lo sguardo, inquieto e sfuggente, manteneva tuttavia un'espressione di dignità e di contegno che contrastavano con l'aspetto dimesso e con il vestiario consunto, rivelando una condizione elevata anche se decaduta.
Imboccò la strada che conduceva al porto orientale e cominciò a scendere verso la darsena, dove erano più numerose le bettole e le osterie frequentate dai marinai, dai commercianti, dagli scaricatori e dai soldati della flotta. Corinto viveva un momento di prosperità e i suoi due porti brulicavano di vascelli che importavano ed esportavano merci in tutti i paesi del mare interno e del Ponto Eusino. Nel quartiere meridionale dove c'erano i magazzini del frumento era facile udire l'accento siciliano in tutte le sue variazioni di tono: agrigentina, catanese, geloa, siracusana...
Siracusa... a volte gli sembrava di averla dimenticata, ma bastava un nulla per richiamare alla memoria i giorni della sua infanzia e della maturità, per ritrovare le luci e i colori di un mondo ormai trasfigurato dalla nostalgia, ma soprattutto dall'amarezza di una vita segnata inesorabilmente dalla sconfitta.
Era giunto davanti alla taverna ed entrò dopo essersi guardato intorno un'ultima volta.
Dall'alto della collina Alessandro si volse a guardare la spiaggia, a contemplare uno spettacolo che si ripeteva quasi uguale a distanza di mille anni: centinaia di navi allineate sulla riva del mare, migliaia e migliaia di guerrieri, ma la città alle sue spalle, Ilio, erede dell'antica Troia, non si preparava ora a un assedio decennale, anzi gli apriva le porte per accoglierlo, lui discendente sia di Achille che di Priamo.
Vide i compagni che salivano a cavallo per raggiungerlo e spronò Bucefalo verso la rocca. Voleva entrare per primo e da solo nell'antichissimo santuario di Atena Iliaca. Affidò lo stallone a un servo e varcò la soglia del tempio.
Io sono siciliano... un greco di Sicilia, come voi, come tutti gli altri, razza di bastardi figli di Greci e di donne barbare. "Mezzi barbari" ci chiamano nella cosiddetta madrepatria. (Dionisio)
Ospedale San Gaetano, Imola, 11 febbraio 2004, ore 6
L'uomo percorse l'atrio dell'ospedale e si presentò all'accettazione. Indossava un giaccone di pelle nera e con tasche sul petto e spalline, jeans e anfibi lucidissimi, maglioncino di lana grigia e Ray-Ban scuri sul naso, benché fosse una giornata nebbiosa.
Sulla manica destra aveva cucito uno scudetto di pelle nera con la croce bianca a otto punte degli Ospitalieri, e due lettere: FC,
L'impiegato lo accolse perplesso: «Mi dica».
«Non ho niente da dire» rispose l'uomo con il giaccone di pelle nera.
«Prego?» domandò il giovane.
«Devo vedere padre Marco Giraldi. So che è ricoverato in questo ospedale.» Aveva una voce rauca e profonda come i grandi fumatori, ma denti bianchi e mani curate.
Avanzava nella steppa numidica una carovana scortata da venti soldati a cavallo in tenuta leggera e altrettanti legionari che avevano da almeno due settimane ottenuto il permesso dal centurione Rufio Fabro di togliere l'armatura e metterla nel carro. Le loriche d'acciaio si arroventavano sotto il sole ed era impossibile sopportarne il peso e l'armatura.
In lontananza il centurione di prima linea Furio Voreno poteva vedere la mole immane di un elefante, un gruppo di zebre, antilopi dalle corna lunghe e, da parte, un gruppo di leoni fulvi guidati da un maschio dalla folta criniera. Dietro al centurione camminava il pittore di paesaggi, che si preparava a ritrarre il territorio selvaggio della Numidia.
La carovana era composta di una decina di carri che trasportavano animali selvaggi destinati alle venationes nell'arena di Roma: leoni, leopardi, scimmie e un gigantesco bufalo nero che già aveva squassato i pali della sua gabbia sul carro mandandola in pezzi. Ogni volta che sbuffava sollevava una nube di polvere e di paglia frantumata. Sembrava un essere mitologico come il toro di Creta.
[Sui giardini pensili di Babilonia]
È la prima delle Sette Meraviglie, la più sfuggente e inafferrabile, cercata a lungo da poeti, archeologi e studiosi: i Giardini Pensili di Babilonia.
Si suppone quindi che l'edificio sia stato innalzato quando Mausolo era ancora vivo. Fu certamente lui a scegliere lo spiazzo a destra del teatro, nell'incavo di una collina e in posizione dominante. Il Mausoleo fu quindi eretto di fronte al porto, ma su un fondo piuttosto duro e compatto, e fu probabilmente questo a preservarlo per parecchi secoli.
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