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Valerio Massimo Manfredi
Valerio Massimo Manfredi
Frasi di Valerio Massimo Manfredi - pagina 4
Valerio Massimo Manfredi
Scrittore, storico e archeologo...
8 marzo 1943
Frasi in elenco
:
62
‐
Pagina:
4
di
7
Puoi trovare le
frasi di Valerio Massimo Manfredi
anche in questi temi:
Destino
Sognatori
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Povertà
Guerra
Aquile
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Efira, Grecia nordoccidentale, 16 novembre 1973, ore 20
Tremarono improvvisamente le cime degli abeti, le foglie secche delle querce e dei platani ebbero un brivido ma non c'era un soffio di vento e il mare lontano era freddo e immoto come una lastra di ardesia.
Parve al vecchio studioso che tutto tacesse d'un tratto, il pigolio degli uccelli e l'abbaiare dei cani e anche la voce del fiume, come se le acque lambissero le sponde e le pietre dell'alveo senza toccarle, come se la terra fosse pervasa da un oscuro, subitaneo tremore.
Si passò una mano tra i candidi capelli, si toccò la fronte e cercò dentro di sé il coraggio di affrontare, dopo trent'anni di caparbia, infaticabile ricerca, la vista della meta.
Nessuno avrebbe potuto dividere con lui quel momento. I suoi operai, Yorgo e Stathis, già si allontanavano dopo aver riposto gli attrezzi, con le mani in tasca e il bavero rialzato e il rumore delle loro suole sulla ghiaia della strada era il solo nella sera.
La Storia. La Storia è il giudice. Essa ricorda chi ha fatto il bene degli esseri umani e condanna chi li ha oppressi, chi li ha fatti soffrire senza motivo. (Filisto)
[Sui giardini pensili di Babilonia]
È la prima delle Sette Meraviglie, la più sfuggente e inafferrabile, cercata a lungo da poeti, archeologi e studiosi: i Giardini Pensili di Babilonia.
«Se sei il figlio di Dio, scendi dalla croce!»
«Tu sai benissimo chi sono, bestia, schiavo! Credi di sapere più di me? Quante volte ti ho cacciato e ho guardato nei tuoi occhi di porco! Altri tuoi compagni ho chiuso nelle budella di animali immondi perché fossero defecati per miglia, tra il lezzo degli escrementi!»
Nessuno udì queste parole venire dal patibolo. I lineamenti del condannato erano indecifrabili, gli occhi pieni di dolore, una sola lacrima tracciata di sangue dalla fronte dell'angolo della bocca. Spine, membra scorticate dal flagello. Silenzio sulla rupe, pesante.
Il tempo passava mentre il dolore era sempre più straziante, tra grida umane e demoniache. Il vento soffiava sempre più forte da settentrione. Le imprecazioni dei soldati ai dadi: «Otto! Sei! Ho vinto».
«Hai perso! Che hai vinto? Quello straccio?»
Gli amici dileguati. Terrore, angoscia, dolore lancinante nei polsi, nelle caviglie. Un grido dal patibolo: «Perdonali. Padre!». Voce rauca dal tronco traverso e pianto di donne. Una sola implorò perdono per i Goyim.
«No!» gridò un'altra voce, quella di un uomo chiamato Giuseppe di Arimatea... E altre tremarono fra la morte e l'odio.
Molto silenzio seguì, poi pianto di madre. Il condannato le donò un figlio differente: il giovane Giovanni, il suo discepolo prediletto.
«Donna, ecco tuo figlio e tu, ecco tua madre!»
Ma la Madre disobbedì al figlio, si accostò al patibolo senza che i legionari la fermassero, gli abbracciò le ginocchia e appoggiò la guancia scossa dai singulti sulla sua coscia. Un'onda di ricordi. L'aveva allattato, cresciuto, educato.
IESUS NAZARENUS RED IUDAEORUM
Avanzava nella steppa numidica una carovana scortata da venti soldati a cavallo in tenuta leggera e altrettanti legionari che avevano da almeno due settimane ottenuto il permesso dal centurione Rufio Fabro di togliere l'armatura e metterla nel carro. Le loriche d'acciaio si arroventavano sotto il sole ed era impossibile sopportarne il peso e l'armatura.
In lontananza il centurione di prima linea Furio Voreno poteva vedere la mole immane di un elefante, un gruppo di zebre, antilopi dalle corna lunghe e, da parte, un gruppo di leoni fulvi guidati da un maschio dalla folta criniera. Dietro al centurione camminava il pittore di paesaggi, che si preparava a ritrarre il territorio selvaggio della Numidia.
La carovana era composta di una decina di carri che trasportavano animali selvaggi destinati alle venationes nell'arena di Roma: leoni, leopardi, scimmie e un gigantesco bufalo nero che già aveva squassato i pali della sua gabbia sul carro mandandola in pezzi. Ogni volta che sbuffava sollevava una nube di polvere e di paglia frantumata. Sembrava un essere mitologico come il toro di Creta.
Si suppone quindi che l'edificio sia stato innalzato quando Mausolo era ancora vivo. Fu certamente lui a scegliere lo spiazzo a destra del teatro, nell'incavo di una collina e in posizione dominante. Il Mausoleo fu quindi eretto di fronte al porto, ma su un fondo piuttosto duro e compatto, e fu probabilmente questo a preservarlo per parecchi secoli.
La colonna avanzava lentamente nel bagliore del cielo e delle sabbie; l'oasi di Cydamus non era più che un ricordo, con le sue acque limpide e con i suoi datteri freschi. Da molti giorni l'avevano lasciata, non senza timore, ma l'orizzonte meridionale continuava ad allontanarsi, vuoto, falso e sfuggente come i miraggi che danzavano tra le dune.
In testa, sul suo cavallo, il centurione Fulvio Macro teneva eretta la schiena e diritte le spalle né si toglieva mai l'elmo arroventato dal sole, per dare agli uomini l'esempio della disciplina.
Era originario di Ferentino e veniva da una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Se ne stava a marcire da mesi con il suo reparto in un ridotto della costa sirtica fra le allucinazioni della malaria, bevendo vino inacidito e sognando invano Alessandria e le sue delizie, quando improvvisamente il Governatore della provincia lo aveva convocato a Cirene e gli aveva affidato l'incarico di attraversare il deserto con una trentina di legionari, un geografo greco, un aruspice etrusco e due guide mauritane.
Ospedale San Gaetano, Imola, 11 febbraio 2004, ore 6
L'uomo percorse l'atrio dell'ospedale e si presentò all'accettazione. Indossava un giaccone di pelle nera e con tasche sul petto e spalline, jeans e anfibi lucidissimi, maglioncino di lana grigia e Ray-Ban scuri sul naso, benché fosse una giornata nebbiosa.
Sulla manica destra aveva cucito uno scudetto di pelle nera con la croce bianca a otto punte degli Ospitalieri, e due lettere: FC,
L'impiegato lo accolse perplesso: «Mi dica».
«Non ho niente da dire» rispose l'uomo con il giaccone di pelle nera.
«Prego?» domandò il giovane.
«Devo vedere padre Marco Giraldi. So che è ricoverato in questo ospedale.» Aveva una voce rauca e profonda come i grandi fumatori, ma denti bianchi e mani curate.
Il re si rimise in viaggio attraverso il deserto sul finire della primavera, per un'altra via che dall'oasi di Amon raggiungeva direttamente le sponde del Nilo nei pressi di Menfi. Cavalcava da solo per ore e ore in groppa al suo baio sarmatico, mentre Bucefalo gli galoppava a fianco senza finimenti e senza briglie. Da quando Alessandro si era reso conto di quanto lunga fosse ancora la strada che avrebbe dovuto percorrere, cercava di risparmiare al suo cavallo tutte le fatiche inutili, come se volesse prolungargli il vigore dell'età giovanile il più possibile.
Ci vollero tre settimane di marcia sotto il sole cocente e fu necessario affrontare ancora durissime privazioni prima di vedere la sottile linea verde che annunciava le fertili sponde del Nilo, ma il re sembrava non sentire né la stanchezza né la fame né la sete, assorto nei suoi pensieri o nei suoi ricordi.
Si rendeva anche conto che nessuna potenza era in grado di resistere al logorio del tempo: solo la gloria di chi ha vissuto con onore cresce con il trascorrere degli anni.
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