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Frase di Barack Obama

Diverse volte a settimana, uscendo sul portico mi imbattevo negli addetti alla manutenzione del parco - tutti dipendenti del National Park Service -, intenti a curare il Giardino delle rose. Erano uomini anziani, perlopiù, con l'uniforme verde e cachi cui talvolta abbinavano un cappello floscio per proteggersi dal sole o un voluminoso giaccone per resistere al gelo. Se non ero in ritardo, capitava che mi fermassi a complimentarmi per le nuove piante o a chiedere dei danni prodotti dal temporale della notte prima, per poi ascoltarli mentre mi parlavano del loro lavoro con pacato orgoglio. Erano uomini di poche parole; anche tra di loro erano soliti spiegarsi con un gesto o un cenno del capo, muovendosi con grazia sincronizzata pur essendo concentrati ciascuno sul proprio compito individuale. Uno dei più anziani, Ed Thomas, era un nero alto e asciutto, con le guance incavate; lavorava alla Casa Bianca ormai da quarant'anni. Il giorno in cui l'ho conosciuto, prima di stringermi la mano ha recuperato una pezza dalla tasca posteriore per ripulirsi dal terriccio. La sua mano, fitta di venature e nodosa come le radici di un albero, ha inghiottito la mia. Gli ho chiesto quanto tempo intendesse rimanere ancora alla Casa Bianca prima di mettersi in pensione.

«Non lo so, signor presidente», ha risposto. «Lavorare mi piace. Ho le articolazioni un po' arrugginite, ma immagino di restare fino a quando rimarrà lei. Per assicurarmi che i giardini siano sempre belli.»

E altroché se erano belli, i giardini! Le magnolie ombrose che svettavano a ogni angolo; le siepi folte, di un verde intenso; i meli selvatici potati alla perfezione. E i fiori, coltivati in serra a qualche chilometro da lì, perpetuavano un'esplosione costante di colore: una varietà di sfumature di rosso e giallo e rosa e viola. In primavera, sbocciavano le aiuole di tulipani con le corolle inclinate verso il sole; d'estate era il turno di eliotropi color lavanda, gerani e gigli; in autunno, crisantemi, margherite e fiori di campo. E non mancava mai qualche rosa, in genere rossa, più di rado anche gialla o bianca, ma sempre in piena fioritura.

Ogni volta che percorrevo il portico o che guardavo dalla finestra dello Studio ovale, vedevo il frutto del lavoro di quegli uomini, di quelle donne. Mi ricordavano il piccolo dipinto di Norman Rockwell che tenevo alla parete, accanto al ritratto di George Washington e sopra il busto di Martin Luther King: cinque minuscole sagome con la pelle di diverso colore, operai in calzoni di tela appesi a funi per lucidare la lampada della Statua della libertà sullo sfondo dell'azzurro terso del cielo. Così come gli uomini del dipinto, pensavo, anche gli inservienti del giardino erano guardiani: i silenziosi sacerdoti dell'ordine delle cose, un ordine giusto e solenne.
E mi dicevo che avrei dovuto compiere il mio lavoro con la stessa cura e lo stesso impegno che quella gente metteva nel proprio.

Breve biografia di Barack Obama

Barack Hussein Obama Jr. nasce a Honolulu (Hawaii, USA) il 4 agosto 1961. Il padre, keniota agnostico ed ex pastore, emigrato negli Stati Uniti per studiare conosce la studentessa Ann Dunham (di Wichita, Kansas); la coppia frequenta ancora l'università quando il piccolo Barack nasce. Nel 1963 i genitori si separano; il padre si trasferisce ad Harvard per completare gli studi, poi fa ritorno in Kenya. Rivedrà il figlio solo in un'occasione poi morirà nel suo paese natale nel 1982. La madre si risposa: il nuovo marito è Lolo... continua su Biografieonline.it

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