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Benazir Bhutto
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Frasi di Benazir Bhutto - pagina 4
Benazir Bhutto
Politica pakistana
21 giugno 1953 - 27 dicembre 2007
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Il programma nucleare pachistano è destinato a fini di pace. Invece l'India starebbe per effettuare dei test atomici, mentre l'ex premier di New Delhi ha dichiarato che non si sente di escludere l'azione nucleare.
La perdita del Bangladesh fu un colpo terribile per il Pakistan. La comune religione islamica, che pensavamo potesse trascendere milleseicento chilometri di India esistenti tra Pakistan Orientale e Occidentale, non bastò a tenerci uniti. La fiducia nella nostra sopravvivenza come nazione era incrinata, i legami tra le quattro province del Pakistan occidentale sembravano sul punto di spezzarsi. Il morale non era mai stato più basso, anche a causa dell'effettiva resa del Pakistan all'India.
In Pakistan la povertà ha molteplici dimensioni, comporta bassi redditi e l'impossibilità di soddisfare i bisogni primari, quali la salute, l'istruzione, la nutrizione, l'accesso all'acqua potabile e ad adeguati servizi igienici. L'impossibilità da parte dei poveri ad avere accesso a servizi sociali di base provoca in futuro la loro emarginazione sociale. Sebbene la povertà si sia attenuata nei periodi di governance democratica, alla fine degli anni '90 questa tendenza si è invertita.
Il caso Watergate mi lasciò un senso profondo dell'importanza delle leggi accettate da tutta una nazione contrapposta a quelle capricciose e arbitrarie dettate da singoli individui. Quando il presidente Nixon si dimise un anno dopo, nell'agosto 1974, il passaggio dei poteri avvenne pacificamente. I leader di una democrazia come l'America potevano venire e andare ma la costituzione degli Stati Uniti rimaneva. In Pakistan non avremmo avuto altrettanta fortuna.
In un paese come il Pakistan dove la percentuale degli analfabeti è altissima, le dicerie e i pettegolezzi da bazar spesso si sostituivano alla verità. Per quanto sia illogica, una voce acquista una sua forza, persino nelle classi colte.
Nasser mi era sembrato un colosso che prometteva la costruzione di un nuovo mondo egualitario sulle ceneri e le macerie del passato.
La trasmissione dell'eredità politica alle donne era diventata una tradizione dell'Asia meridionale. Indira Gandhi in India, Sirimavo Bandaranaike nello Sri Lanka, Fatima Jinnah e mia madre in Pakistan, ma non avevo mai pensato che potesse accadere anche a me.
Saccheggi, stupri, sequestri di persona, assassini. Quando ero arrivata a Harvard nessuno si curava del Pakistan; ora tutti erano interessati. La posizione di condanna verso il mio paese era universale. All'inizio mi rifiutai di credere alle cronache pubblicate dalla stampa occidentale sulle atrocità commesse dal nostro esercito in quello che i ribelli del Bengala Orientale chiavano Bangladesh. Secondo i giornali governativi pakistani, che i miei genitori mi inviavano ogni settimana, la breve rivolta era stata domata. Allora, perché quelle notizie sull'incendio di Dacca, i plotoni d'esecuzione mandati nell'università a massacrare studenti, professori, poeti, romanzieri, medici e avvocati? Scuotevo la testa, incredula. Si diceva che migliaia di persone cercavano di fuggire e venivano bombardate con gli aerei pakistani... anzi, le vittime erano così numerose che i cadaveri venivano usati per erigere blocchi stradali.
Non sopporto di vedere appassire i fiori, specialmente le rose di mio padre. Ogni volta che si recava all'estero prendeva sempre qualche varietà nuova da piantare nel giardino: rose, violacee, rose color mandarino, rose scolpite così perfettamente da sembrare modellate nella creta. La sua prediletta era una rose azzurra chiamata «rosa della pace». Ora i rosai cominciano ad avvizzire e a ingiallire per la mancanza di cure.
Pensare che l'astensione per protesta del 60% dell'elettorato sia una vittoria è qualcosa che soltanto il generale Zia può fare.
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