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Benazir Bhutto
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Frasi di Benazir Bhutto - pagina 2
Benazir Bhutto
Politica pakistana
21 giugno 1953 - 27 dicembre 2007
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[Su Indira Gandhi]
Era così piccola e fragile. Da dove le veniva la sua famosa implacabilità? Aveva sfidato il padre per sposare un uomo politico parsi che Nehru non approvava. Il matrimonio non era stato felice e i coniugi si erano separati. Ora tanto il padre quanto il marito erano morti. Si sentiva sola?
[Su Ayub Khan, Yahya Khan e Zia ul-Haq]
L'autorità di questi dittatori era un'imposizione, non derivava da un mandato popolare. Per la prima volta capivo chiaramente perché il popolo del Pakistan non vedeva un motivo per obbedire a quel tipo di regime, per obbedire allo «stop». Dove non esisteva un governo legittimo, c'era l'anarchia.
L'esercito era la chiave di tutto. Ma non c'era motivo di dubitare della lealtà delle forze armate. Mio padre godeva di una grande popolarità nell'esercito e il fatto che avesse scelto Zia quale capo di stato maggiore preferendolo a sei alti ufficiali con un'anzianità superiore sembrava assicurargli anche l'appoggio dello stesso Zia. Nella nostra cultura non si tradisce il proprio benefattore.
[Sul primo incontro con Zia ul-Haq]
Ricordo che rimasi sorpresa quando lo vidi. Diversamente dall'immagine un po' infantile di un militare alto e robusto con i nervi d'acciaio alla James Bond, il generale che mi stava davanti era un uomo basso, nervoso, dall'aria fatua, con i capelli impomatati e divisi da una scriminatura centrale. Sembrava più il "cattivo" di un cartone animato inglese che un capo militare. Si comportò in modo molto ossequioso e ripeté più volte che era onorato di conoscere la figlia del grande Zulfikar Ali Bhutto. Senza dubbio, mio padre avrebbe potuto trovarsi un capo di stato maggiore un po' diverso; ma non dissi nulla.
[Dopo l'attentato del 18 ottobre 2007]
Il Pakistan è un Paese nel quale la politica è qualcosa di molto radicato, che si pratica in massa, con un contatto faccia a faccia, persona a persona. Qui non siamo in California o a New York, dove i candidati fanno campagna elettorale pagando i media o spedendo messaggi e posta abilmente indirizzata. Qui quelle tecnologie non soltanto sono logisticamente impossibili, ma altresì incompatibili con la nostra cultura politica. Il popolo pachistano ‐ a qualsiasi partito esso appartenga ‐ ha voglia, si aspetta di vedere e ascoltare i leader del proprio partito, e di essere parte integrante del discorso politico. I pachistani partecipano ai comizi e ai raduni politici, vogliono ascoltare direttamente e senza intermediari i loro leader parlare con megafoni e altoparlanti. In condizioni normali tutto ciò è impegnativo. Con una minaccia terroristica che incombe è straordinariamente difficile. Mio dovere è far sì che non sia impossibile.
[Sull'ascesa di Zia ul-Haq]
Avevo sentito dire che era stato molto difficile trovare qualcuno adatto per quell'incarico e quindi mi incuriosiva conoscere il capo di stato maggiore dell'esercito designato da mio padre. Altri sei generali erano stati scartati per quella nomina perché le fonti dei servizi segreti dell'esercito avevano scoperto che tutti avevano qualche grave difetto nel carattere: l'abitudine di bere, la tendenza all'adulterio, una lealtà discutibile. Neppure il generale Zia era immune da pecche. Si diceva che avesse legami con Jamaat-e-Islami, un'organizzazione religiosa fondamentalista che si opponeva al PPP e voleva che il paese venisse governato da leader religiosi e non laici. Inoltre, secondo uno degli ambasciatori di mio padre, era anche un ladruncolo.
Ma Zia aveva molti elementi a suo favore. Diversamente da altri ufficiali del nostro esercito, non era compromesso nella carneficina del Pakistan Orientale, perché durante la guerra civile si trovava fuori del paese. A quanto si diceva, godeva del rispetto dell'esercito, e questo era stato il criterio di valutazione più importante per mio padre nel lungo processo di selezione che era diventato sempre più esasperante.
Il colpo di stato non stava andando secondo i piani di Zia. Per tradizione, i pakistani avevano sempre abbandonato i leader che perdevano il potere e si erano schierati con il vincitore. Ma in questo caso la deposizione di mio padre ad opera di Zia ricadeva su chi l'aveva perpetrata. Anziché abbandonare mio padre, il popolo si stringeva intorno a lui e altri dirigenti politici tre settimane dopo il colpo di stato, milioni di persone sfidarono la legge marziale per ascoltare papà che si recava a visitare le principali città del Pakistan. In Occidente non si sono mai viste folle paragonabili per numero a quelle asiatiche; tuttavia, anche secondo i nostri criteri, le masse che accorrevano per salutare mio padre erano oceaniche.
[Su Indira Gandhi]
Avevo seguito la sua carriera politica con attenzione e ammiravo la sua perseveranza. Dopo che era stata scelta come primo ministro nel 1966, le fazioni contrastanti del congresso indiano avevano creduto di avere tra le mani un leader malleabile, al punto che l'avevano chiamata goongi goriya, la bambola stupida. Ma quella donna di seta e d'acciaio li aveva battuti in astuzia. Per rinfrancarmi cercai di conversare con lei, ma era molto chiusa. Aveva una freddezza altera e una tensione che si attenuava solo nel sorriso.
Le elezioni indette dal generale Zia sono una farsa. Il regime militare che dal 1977 domina spietatamente il Pakistan cerca di salvare la faccia e di autoconferirsi una patente democratica. Al tempo stesso con la sua famigerata brutalità, Zia ha eliminato ogni possibile oppositore. I dirigenti dei partiti democratici hanno subito ogni sorta di intimidazione, persecuzione, ci sono stati settemila arresti, alcuni prigionieri sono stati torturati, ci sono state negli ultimi mesi sette esecuzioni. Noi del Partito Popolare del Pakistan sfidiamo Zia ad indire elezioni veramente libere, con questa nuova orribile farsa del generale, non vogliamo avere nulla a che fare. La nostra raccomandazione al popolo del Pakistan è di tenersi lontano dalle urne che esprimeranno cosiddetti parlamentari ma in realtà soltanto dei burattini del regime.
Il paese unito che Mohammed Ali Jinnah aveva fondato nel 1947 dopo la spartizione dell'India era morto con la nascita del Bangladesh.
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