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Benazir Bhutto
Benazir Bhutto
Frasi di Benazir Bhutto - pagina 3
Benazir Bhutto
Politica pakistana
21 giugno 1953 - 27 dicembre 2007
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Io credevo nella giustizia. Credevo nelle leggi e nei codici dell'etica, nelle testimonianze giurate e nel processo giudiziario. Ma di tutto questo non c'era traccia nella tragica farsa del processo contro mio padre.
Le elezioni indette dal generale Zia sono una farsa. Il regime militare che dal 1977 domina spietatamente il Pakistan cerca di salvare la faccia e di autoconferirsi una patente democratica. Al tempo stesso con la sua famigerata brutalità, Zia ha eliminato ogni possibile oppositore. I dirigenti dei partiti democratici hanno subito ogni sorta di intimidazione, persecuzione, ci sono stati settemila arresti, alcuni prigionieri sono stati torturati, ci sono state negli ultimi mesi sette esecuzioni. Noi del Partito Popolare del Pakistan sfidiamo Zia ad indire elezioni veramente libere, con questa nuova orribile farsa del generale, non vogliamo avere nulla a che fare. La nostra raccomandazione al popolo del Pakistan è di tenersi lontano dalle urne che esprimeranno cosiddetti parlamentari ma in realtà soltanto dei burattini del regime.
[Sull'amministrazione di Zulfiqar Ali Bhutto]
La sua amministrazione aveva stampato la prima edizione del Corano priva di errori, aveva abolito il numero chiuso che i governi precedenti avevano imposto per il pellegrinaggio dei pakistani alla Mecca e aveva reso obbligatoria l'istruzione religiosa (Islamiyat) nelle scuole primarie e secondarie. Erano stati istituti programmi televisivi per insegnare l'arabo, la lingua del Corano, ed era stata creata una commissione per lo studio delle fasi della Luna allo scopo di porre fine alla confusione circa l'inizio e la conclusione del digiuno del ramadan. Il governo di mio padre aveva addirittura insistito perché il Pakistan cambiasse il nome e il simbolo della Croce Rossa nella Mezzaluna Rossa per celebrarne i legami con l'Islam anziché con il cristianesimo.
Non avevo avuto nessuna simpatia per Sadat, che si era rivoltato contro il suo mentore e ne aveva rovesciato la politica quando aveva assunto la presidenza dell'Egitto nel 1970. Ma quando lessi la notizia della sua morte, mi sentii inaspettatamente commossa. Anche se mio padre aveva criticato duramente la pace separata conclusa da Sadat con Israele, il presidente egiziano aveva chiesto clemenza per lui. Inoltre aveva dato rifugio allo scià di Persia e alla sua famiglia, sfidando una crescente impopolarità. E quando lo scià era morto di cancro, Sadat aveva disposto per lui un solenne funerale, dimostrando una generosità di spirito molto rara nel mondo della realpolitik. Non aveva mai permesso che le divergenze politiche e le controversie gli impedissero di fare ciò che riteneva giusto.
Per il Pakistan è arrivato il momento della verità. Le decisioni prese oggi determineranno se in Pakistan estremismo e terrorismo possano essere contenuti, al fine di salvare il paese da un tracollo interno. In gioco c'è la stabilità non solo del Pakistan, ma del mondo civilizzato. In tutte le elezioni democratiche tenute nel mio paese i partiti estremisti religiosi non hanno mai raccolto più dell'11% dei voti. Ma sotto la dittatura ‐ in particolare sotto il dittatore militare generale Muhammad Zia-ul-Haq negli anni 80, ma purtroppo anche sotto il generale Pervez Musharraf ‐ l'estremismo religioso ha preso piede. L'estremismo è emerso a minacciare la mia nazione ed il mondo. Questi estremisti sono un vivaio del terrorismo internazionale. Ma non deve per forza essere così. Le cose devono cambiare.
Cogito, ergo sum.... Penso, dunque sono. A Oxford ho sempre avuto difficoltà con questa premessa filosofica, e ora ne ho molte di più. Penso anche quando non vorrei, ma via via ce i giorni passano, non sono affatto sicura di esistere. Per esistere davvero una persona deve fare qualcosa, deve agire e causare una reazione. Ho la sensazione che non vi sia nulla su cui possa lasciare la mia impronta.
L'impronta che mio padre ha lasciato in me, tuttavia, mi aiuta a continuare. Tenacia, onore, principi: nelle storie che mio padre ci raccontava da bambini, i Bhutto vincevano sempre le battaglie morali.
Alcuni esperti di politica occidentali e molti militari pakistani sostenevano che la democrazia era impossibile per una popolazione così divergente e disgregata, in un paese con una percentuale di analfabeti altissima e un reddito annuo pro capite molto basso. Nel Pakistan c'era un gran numero di persone che non potevano neppure parlarsi perché ogni regione aveva la sua lingua e le sue tradizioni. Una popolazione come quella, si diceva, poteva essere tenuta in riga soltanto da un regime militare. Ma mio padre aveva dimostrato l'infondatezza di questa teoria istituendo con successo un governo democratico, grazie al quale era il voto popolare e non la forza delle armi a decidere chi doveva comandare nel paese.
Voglio guidare un Pakistan democratico, libero dal giogo della dittatura militare. Un Paese che non sia più un rifugio, un terreno di coltura per il terrorismo internazionale. Un Pakistan democratico, che contribuisca a stabilizzare l'Afghanistan, mitigando la pressione sulle truppe Nato. Un Pakistan democratico che dia la caccia ai signori della droga e che ne smantelli il cartello che oggi finanzia il terrorismo. Un Pakistan in cui il principio di legalità impedisca a chiunque di costituire, reclutare e addestrare un esercito o una milizia privati.
[Dopo l'attentato del 18 ottobre 2007]
Non dobbiamo permettere che la sacralità del processo politico sia sconfitta dai terroristi. In Pakistan occorre ripristinare la democrazia e l'equilibrio delle posizioni moderate, e il modo per farlo è tramite elezioni libere e oneste che instaurino un governo legittimo su mandato popolare, con leader scelti dal popolo. Le intimidazioni da parte di assassini codardi non dovranno far deragliare il cammino del Pakistan verso la democrazia.
Nella famiglia non c'erano dubbi: io e mia sorella avremmo avuto le stesse possibilità dei nostri fratelli. Non c'erano dubbi neppure nell'Islam. Fin da piccoli imparammo che solo l'interpretazione data dagli uomini alla nostra religione limitava le possibilità per le donne: non era affatto la religione a stabilirlo. Anzi, fin dall'inizio l'Islam era stato molto progressista verso le donne: il profeta Maometto (la pace sia con Lui) aveva proibito l'uccisione delle bimbe appena nate, molto comune tra gli arabi dei suoi tempi, e aveva rivendicato alle donne il diritto all'istruzione e all'eredità molto tempo prima che tali privilegi venissero loro riconosciuti in Occidente.
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