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Gianni Clerici
Gianni Clerici
Frasi di Gianni Clerici - pagina 4
Gianni Clerici
Ex tennista, giornalista e scrittore...
24 luglio 1930 - 6 giugno 2022
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4
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frasi di Gianni Clerici
anche in questi temi:
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[Sulla doppia telecronaca del tennis]
Merito anche di Berlusconi, che importò gli sport americani dove la doppia conduzione era obbligatoria. L'uomo era avanti, nella comunicazione aveva visioni premonitrici. Il resto l'abbiamo messo noi, raccontando ciò che accadeva come se fossimo in diretta da una tribuna stampa. Rino Tommasi snocciolava le statistiche e io provavo a trasformarle in conversazioni. Nacque un genere.
[Su Roger Federer]
Le ripetute lacrime di Federer, depurate da ogni sospetto di soap opera, hanno sottolineato anche per i più scettici una gioia che mai aveva esternato, ad eccezione forse del suo primo Wimbledon. E ci hanno aiutato a capire l'incredibile fragilità psichica contro la quale è costretto a battersi questo superdotato. Tipo che ammise, con me, di non aver letto Freud, quasi certamente per paura, prima che per insufficiente cultura.
[la Repubblica, 8 giugno 2009]
Il suo nome, tradotto, significa Orso e Roccaforte, e rende bene l'idea di un difensore inattaccabile, se non da geni della rete, quali McEnroe, o il nostro Panatta. Bjorn fu il primo ad usare racchette composite, legno mescolato a plastica, con uno scheletro di grafite. Pesantissime, oltre le 14 once, che gli consentirono di sviluppare per primo un movimento rotatorio sul diritto, mentre il rovescio gli fu gentilmente offerto dalla pratica giovanile dell'hockey su ghiaccio. Atleta capace di emergere in qualsiasi altro sport, Borg dominò dal 1975 all'81, vincendo non solo 6 Roland Garros, ma 5 Wimbledon, con sbalorditivo adattamento dei suoi gesti a prati. La fine della sua carriera fu causata, al di là di sfortunate scelte umane, dall'arrivo di McEnroe, che lo scoraggiò nella finale di Wimbledon 1981.
[la Repubblica, 5 settembre 2006]
Gianni fu infatti uno dei giornalisti più amati-odiati dell'intero dopoguerra, anche perché, spinto da necessità alimentari ad allontanarsi dalle lettere ‐ non dabant panem ‐ e addirittura dal primo amore, l'atletica leggera, finì a padroneggiare i terreni auriferi del football, che certo amava meno di altri habitat. Quelle lande sin lì desolate, percorse da analfabeti, retori, postdannunziani d'accatto, Gianni fertilizzò non solo con la grande cultura storica ‐ collegio Ghisleri più Scienze Politiche- ma con gli studi su uno sconosciutissimo ‐ da noi De Gobineau scrittore, su Flaubert e Maupassant e Jean Giono. Fu il primo a chiedersi perché si potesse amare Manzoni che detestava ‐ e ignorare Carlo Porta ‐ che adorava ‐ fu il primo a trasformare una cronaca di calcio in uno studio alla Clausewitz, uno stratega che si esprimesse al contempo con gli accenti di Girolamo Cardano.
[la Repubblica, 8 dicembre 2009]
Il Federer di oggi è infatti praticamente ingiocabile. Per cominciare, il suo campo pare più stretto degli abituali otto metri e ventitré, perché il fenomeno posa i piedini negli immediati dintorni della linea di fondo, e si rifiuta recisamente quanto serenamente di indietreggiare. Lì piazzato, Roger ribatte tutto quanto l'avversario tenti di inviargli con gesti che, se non proprio mezze volate, son trequarti di volata. Un po' alla McEnroe, se permettete, ma ad una velocità quasi doppia. Il suo lavoro di avambraccio ricorda quello di Sugar Ray Robinson, quello di ginocchia il miglior Tomba su un paletto: non sono certo iperboli, ma pallide similitudini. Oltre alla sublime qualità del gesto, il Federer di oggi possiede, im massimo grado, le caratteristiche del killer, sportivo, beninteso. Gioca al massimo delle possibilità non appena il punto diviene ‐ come ben dice il Tommasi ‐ pesante. Si supera, insomma, negli scambi decisivi.
[la Repubblica, 28 giugno 2004]
Facciamo pure, e cerchiamo di spiegare che non solo è totalmente mutata la gestualità di quello che fu chiamato lawn (prato) tennis, ma sta cambiando il tipo di atleta protagonista. Il tennista di trent'anni addietro poteva essere uno stupendo atleta, come fu Borg, ma la sua muscolatura non ricordava certo quella di un wrestler. I suoi gesti non conoscevano la violenza capace di causare le esasperate rotazioni che io chiamo arrotate. I fondi sui quali il giocatore si ritrova a scattare, correre, e soprattutto a frenare erano praticamente erba e terra. E, di conseguenza, i microtraumi non erano lontanamente paragonabili. Metà della stagione si svolge ora sui campi hard, duri, spesso in cemento. Non esiste, al mondo, nessun altro sport che coniughi le corse e il cemento.
[la Repubblica, 18 novembre 2008]
I match, è noto, si vincono dentro di noi. Vanno immaginati costruiti in ogni dettaglio, quasi fossero i cartoni di un affresco. Sul campo, poi, bisogna essere svelti a mettere i colori.
Se Tiriac usa la sua racchetta come la clava di un cavernicolo, Nastase pare Aramis.
Fu, quella di New York la volta che vidi Sampras incredulo ancor prima che battuto, ricordo addirittura un suo esordio in conferenza stampa in cui mi parve desideroso di un umano conforto, invece che di una scusa tattica; «Safin ha giocato un tennis che non conoscevo», disse, e nello scuotere il capo, incredulo, pareva rivedere dei flash di quanto gli era accaduto in campo. E, infatti, finì per aggiungere: «Spero sia una specie di incubo, e che non si ripeta». Il Safin di quel giorno fu probabilmente, il miglior tennista dell'ultimo decennio. Destinato a non ripetersi per ragioni che uno psicoterapeuta saprebbe meglio analizzare dello scriba.
[la Repubblica, 22 novembre 2009]
Non era, il suo modo di colpire, un colpo di pennello di quelli che fanno godere l'autore. Ivan era un regolarista, e un picchiatore. Proprio per lui, mi venne da adattare il termine "regolarista", che avevo coniato per Borg, in "regolarista d'attacco". Se, da piccolo, ai tempi in cui era stato mondiale junior, Ivan si era limitato a rimandare, attendendo la palla buona per avventarsi con il diritto, via via andava migliorando la battuta, dall'alto di un metro e 86 ragguardevole per gli anni Ottanta. E, pian piano, abbandonava un rovescino tagliato e velenoso per una terribile sberla liftata, che non sarebbe servita soltanto a passare, ma anche ad attaccare. Dominato all'inizio dal ritmo superiore di Jimmy Connors, dalle volée e dai tocchi di John McEnroe, Ivan riuscì a riguadagnare un buon metro di campo ai due geni, per rendergli la vita difficile e spesso impossibile. Contro di lui, vincere di regolarità, o in palleggi aperti, era quasi impossibile. Rallentargli il gioco era impresa suicida. E bisognava allora attaccarlo. Un bel problema, perché Ivan passava quasi altrettanto bene di rovescio che di diritto.
[la Repubblica, 21 luglio 2009]
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