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Francesca Mannocchi
Francesca Mannocchi
Frasi di Francesca Mannocchi - pagina 3
Francesca Mannocchi
Giornalista italiana
1 ottobre 1981
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anche in questi temi:
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Quando entra un accidente nella vita, nel mio caso la malattia, ma lo stesso vale per un lutto, un inciampo casuale, la linea del tempo si frattura. E la gestione del futuro dipende anche da fattori esterni. La convivenza con l'imprevisto squaderna il passato e il futuro, o meglio l'idea di futuro che avevamo prima. La persona cui viene diagnosticata una malattia lo pensa in ogni singola attesa nelle anticamere dei reparti ospedalieri, quando si siede nella farmacia territoriale in attesa delle medicine, quando i giorni della settimana assumono un calendario intimo, privato. E i nomi dei giorni cambiano. Oggi non è domenica, è il giorno che segue alla terapia, forse avrò effetti collaterali che non mi faranno alzare dal letto.
[«Ti fa rabbia?»]
Tanta, non come il primo giorno, però sì. Ma mi ha fatto fare i conti con la nostra hybris. Non siamo invincibili. Viviamo in corpi finiti. In corpi talvolta ostili.
[Sulla pandemia di COVID-19]
Non credo che torneremo quelli che eravamo. Ci illuderemo di farlo, nell'allucinazione collettiva di tornare alla vita-di-prima, ma la leggerezza dei nostri viaggi, o il divertimento, l'esperienza ludica di un bicchiere di vino con gli amici, nasconderà un ronzio, un'inquietudine. Penso che il post-Covid sarà lunghissimo e che la stessa espressione post-Covid sia un errore. Dovremmo fare lo sforzo individuale e collettivo di vivere in continuità con il Covid, non aspirando a una macchina del tempo che non esiste. Dovremmo, credo, come nelle esperienze di alcune malattie, ricordare che la Natura possa tendere contemporaneamente alla perfezione e contenere l'origine del suo danno.
In questi anni ho capito, sulla mia pelle, che corpo del malato e malattia sono stati monetizzati, che hanno un valore economico e quindi hanno un valore di scambio.
[...]
Il valore di un'ora di risonanza magnetica genera due tipi di cittadini: il convenzionato e quello che può permettersi di pagare. La forbice – economica – tra i due, determina uno stato di minorità nel primo e di potere nell'altro. La monetizzazione della malattia genera, o meglio amplifica, le disuguaglianze. Questo tema non si può affrontare se pensiamo di curare la malattia solo con l'assegnazione di una terapia, non ci si cura solo clinicamente. Ci si cura davvero se ripensiamo la vita del malato e delle malattie come eventi inseriti nel complesso delle società. Ci si cura solo collettivamente.
Noi probabilmente diamo sempre per scontato che ci sia una cosa comune, un servizio universale per la salute. Invece non dobbiamo dimenticarci che questo sistema sanitario di protezione non è per nulla scontato che ci sia. In tanti paesi del mondo non c'è. Credo che dobbiamo avere rispetto, pretendere molto da chi è custode del patto che ha dato vita al sistema sanitario nazionale. Ma di quel patto noi come singoli dobbiamo avere cura. Dobbiamo riuscire a usare ma non ad abusare di questo sistema, nella consapevolezza di essere davvero fortunati ad averlo.
Il potere delle scrivanie è un soffio. Il potere, quello vero, se dura, dura per strada.
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