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Knut Hamsun
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Knut Hamsun
Scrittore norvegese, premio Nobel
4 agosto 1859 - 19 febbraio 1952
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Ero seduto là sulla panchina e pensavo a tutto ciò e diventavo sempre più duro verso Dio per le sue costanti angherie. Se credeva di attirarmi a sé più vicino e di rendermi migliore col farmi soffrire e mettendo ostacoli su ostacoli sulla mia via si sbagliava un pochino, poteva esserne sicuro.
E intorno a me covava sempre la stessa oscurità, quella stessa eternità nera e imperscrutabile, contro la quale si inalberavano i miei pensieri incapaci di afferrarla. Con che cosa potevo paragonarla? Feci sforzi disperati per trovare una parola abbastanza grande per definire quel buio, una parola così crudelmente nera da annerire la mia bocca quando l'avessi pronunciata.
Un caso che finisca bene è Provvidenza. Un caso che termini male è destino.
Erano gli anni in cui erravo affamato per le strade di Christiania, quella strana città da cui non riesci a fuggire prima che t'abbia impresso il suo marchio.
"Amo tre cose", dico allora. "Amo il sogno d'amore di un tempo, amo te e amo quest'angolo di terra." "E cosa ami di più?" "Il sogno."
Non è facile distinguere chi è pazzo e chi no. Dio ci protegga dall'essere smascherati!
L'autunno è arrivato e ha già incominciato a preparare il letargo del mondo. Le mosche e tutte le altre bestiole hanno già ricevuto il colpo di grazia. Sugli alberi e sulla terra la vita guizzante combatte, frusciando e strisciando senza posa, l'ultima battaglia: non vuol perire. Tutti gli esseri dell'aria e della terra si agitano ancora una volta: si tratta di vita o di morte. Ancora una volta sporgono la testa gialla dai licheni, ancora una volta muovono le gambe, tastano l'aria con le lunghe antenne e crollano poi improvvisamente rovesciandosi col ventre in su. Ogni pianta ha preso un suo volto particolare sotto il soffio diafano e sottile dei primi freddi. Gli steli si rizzano pallidi verso il sole e le foglie cadute raschiano il terreno con il rumore sommesso di filugelli che si spostano. È tempo d'autunno, il carnevale della caducità. Il rosso delle rose s'infiamma e sopra il colore sanguigno si spande una luce stranamente smorta.
Com'erano leggeri e sereni tutti quegli uomini che incontravo, come dondolavano la testa spensieratamente e attraversavano danzando la vita come fosse una sala da ballo! Non un occhio affamato, non una spalla curva sotto un peso, forse neanche un pensiero angoscioso, neanche una pena segreta nel cuore di tutta quella gente allegra. E io passavo accanto a loro, giovane appena adulto, e avevo già dimenticato il volto della felicità!
Le tenebre gravavano intorno a me, e regnava un profondo silenzio. Ma alto nel cielo risonava il respiro del vento, un lontano confuso mormorio che sembrava una musica senza fine. Stetti ad ascoltare la melodia dolorosa e infinita finché ne fui stordito: era certamente la sinfonia dei mondi che turbinavano sopra di me, erano le stelle che cantavano in coro...
E il capitano mi assegnò il mio compito. Quando fummo al largo mi rizzai in piedi, sudato e abbattuto dalla febbre, e dissi addio per questa volta alla città, a Christiania, dove tutte le finestre, ora illuminate, scintillavano.
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