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Knut Hamsun
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Frasi di Knut Hamsun - pagina 3
Knut Hamsun
Scrittore norvegese, premio Nobel
4 agosto 1859 - 19 febbraio 1952
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anche in questi temi:
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Fame
Ostacoli
Incapaci
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"Emma, io sono uno che spasima per te."
"E chi te l'ha detto?"
"Le stelle."
"Avrei preferito che te l'avesse detto qualcuno qui sulla terra."
No, il fatto è che qui il sole non splende; il sole norvegese è una luna, una lanterna che mette in grado i Norvegesi di distinguere il nero dal bianco.
Quando parlo con un uomo, non ho bisogno di guardarlo per seguire esattamente quello che dice; sento subito se egli mi dà a bere qualche cosa o me ne nasconde qualche altra; la voce, credetemi, è un apparecchio pericoloso. Mi capite bene? Intendo non il suono materiale della voce, che può essere alto o basso, limpido o roco; non intendo la materialità della voce, la essenza del tono, no; io mi occupo del mistero che sta dietro di esso, del mondo dal quale esce.
Il povero intelligente è un osservatore assai più sottile che non il ricco intelligente. A ogni passo che fa, il povero si guarda intorno e tende l'orecchio diffidente a tutte le parole di coloro che incontra. Ogni suo passo presenta, per così dire, un compito, una fatica ai suoi pensieri e sentimenti. Egli ha l'udito acuto e sensibile, è esperto e ha l'anima segnata di cicatrici.
Mentre scendo per la strada mi volto qualche volta a guardare le finestre della sala. Poi le case escono dalla mia vista.
Una volta gli venne in mente di avere un'enorme quantità di carrozze; affittò per sé solo ventiquattro carrozze che fece attaccare l'una dietro l'altra. Ventitré erano completamente vuote e nella ventiquattresima, l'ultima, sedeva lui e squadrava i passanti, fiero come un Giove sull'Olimpo.
Ora me ne sono andato nella foresta.
Non che qualcosa mi avesse offeso o la malignità degli uomini mi avesse particolarmente ferito; ma se i boschi non vengono a me, bisogna che io vada da loro. Così è.
Capivo che bisognava morire. Era l'autunno, ogni cosa era già immersa nel letargo invernale. Avevo tentato tutti i mezzi, avevo sfruttato tutte, tutte le risorse. Accarezzavo con commozione questo pensiero e ripudiavo ogni speranza di salvezza bisbigliando tra me: Non vedi, sciocco, che stai già morendo? Si trattava di scrivere ancora un paio di lettere, di prepararmi al viaggio, di tenermi pronto. Volevo lavarmi ancora una volta da capo a piedi e rifare il letto per benino. Avrei posato la testa su quel paio di fogli bianchi, la cosa più pulita che mi fosse rimasta.
Voi, domandavate, dottore, se io suono? Io non suono, assolutamente; io giro con un astuccio da violino, ma non vi è dentro strumento di sorta; esso è ripieno di biancheria sudicia. Mi sembrava che avrebbe fatto bella figura il vedere un astuccio di violino fra i bagagli e per ciò me lo sono comprato.
Quando mi ritrovai fuori, mi fermai in mezzo alla strada e stringendo i pugni dissi forte: "Caro Padre Eterno, ti voglio dire una cosa: sei un poco di buono!". E mordendomi le labbra tesi le braccia contro le nuvole: "Sì, il diavolo mi porti, un poco di buono!".
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