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Nell'anno del Signore

Frasi del film

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Frasi di Nell'anno del Signore

Riassunto e trama del film Nell'anno del Signore

[da Wikipedia]

Roma, 1825: è in corso il pontificato di Leone XII, caratterizzato da una politica reazionaria e intransigente, in cui la repressione di qualsiasi forma di libertà individuale è attuata da uno stato di polizia e dalle trame del subdolo cardinale Agostino Rivarola. Gli ebrei sono costretti a rimanere rinchiusi nel Ghetto e continuamente umiliati da forzati tentativi di conversione; la polizia fa rispettare un rigido coprifuoco; perfino gli osti sono obbligati a servire il vino al di fuori dei cancelli delle osterie, per evitare che gli avventori seduti ai tavoli possano creare disordini.

Malgrado tutto, sulla statua parlante di Pasquino (Nino Manfredi) vengono continuamente affissi scritti ironici e duramente critici nei confronti del governo; e soprattutto si svolgono nella massima segretezza delle riunioni della carboneria, che auspicano, sia pure in forma vaga e contraddittoria, una rivoluzione popolare che possa portare a una nuova realtà istituzionale. Due carbonari, Leonida Montanari (Robert Hossein), romano, e Angelo Targhini (Renaud Verley), modenese, si ritengono costretti a pugnalare un loro compagno, il principe Filippo Spada, che, in crisi di coscienza a causa di una malattia mortale della sua bambina, si era pentito dell'affiliazione alla carboneria e aveva rivelato dei segreti al suo confessore.

Spada, però, riesce a salvarsi dalle ferite di coltello di Targhini e Montanari e li denuncia alla polizia pontificia: la sorte dei due carbonari è segnata, e dopo un processo sommario senza adduzione di prove, i due sono condannati alla ghigliottina. La storia si intreccia con quella del ciabattino Cornacchia e della sua amante Giuditta (Rita Savagnone), una bellissima ragazza ebrea. I due, meno colti e meno inclini ai cambiamenti radicali rispetto ai carbonari, si erano legati però di affetto con Montanari e Targhini (Giuditta, tra l'altro, si era innamorata di Montanari) e si sforzano di aiutarli.

Cornacchia propone al cardinal Rivarola di rivelargli l'identità di Pasquino una volta ottenuta la grazia per i due condannati: dato che Pasquino è lui stesso, il ciabattino offre di fatto la propria vita per quella dei carbonari. Ma è tutto inutile. Qualche giorno prima, infatti, Cornacchia in un moto di orgoglio di fronte alle offese di Giuditta che lo considerava un buono a nulla, aveva corretto un sacrestano che aveva commesso uno sbaglio mentre stava scrivendo, rivelando quindi che lui non era per nulla stupido e analfabeta come faceva credere in giro. Questa notizia, di persona in persona, era arrivata direttamente al Cardinale che, in questo modo mette in trappola Cornacchia/Pasquino consegnandogli una lettera, spacciandola come una grazia per Montanari, ma con su scritto "Arrestate il latore della presente, Cornacchia" e ordinandogli di portarla alle prigioni e di non farla leggere nessuno, tranne al Capitano delle Guardie della prigione, perché la "grazia" è un segreto di stato. Cornacchia si rende conto di essere stato messo all'angolo. Se consegna la lettera verrà arrestato, se non la consegna rivelerà di essere Pasquino. Così come ultimo atto di Pasquino scrive un ultimo epigramma che invita il Papa a giustiziare i due Carbonari dato che questa fine, in fin dei conti, è quella che i due condannati segretamente sperano, visto che come dice Cornacchia "la barca della rivoluzione naviga sul sangue". Infatti questo suo comportamento non è un atto contro Montanari e Targhini, ma paradossalmente cerca di aiutare la loro idea di rivoluzione. Se ci fosse, di fatto, una grazia per i due, come spiega Cornacchia, il popolo considererebbe la Chiesa come un "buon padre" che minaccia punizioni terribili ma senza mai metterle veramente in pratica. Ma se ci fosse infine la condanna a morte dopo un processo farsa, nel corso degli anni questa peserebbe come un macigno e indurrebbe il popolo ad odiare ancora di più la Chiesa/Stato fomentando di continuo nuove rivolte contro di essa. Finito di scrivere affida l'ultimo messaggio al suo successore (Pippo Franco in un breve cameo nella parte di un pastore e futuro nuovo Pasquino) perché lo apponga sulla statua di Pasquino. Dopodiché entra in un monastero per farsi frate. In tal modo, tramite l'asilo chiesto alla chiesa, non può più essere perseguito per i crimini commessi in precedenza.

Targhini e Montanari, in attesa della fine, sono imprigionati in Castel Sant'Angelo. Viene inviato loro un frate, sinceramente devoto e appassionato sostenitore del potere papale, che insiste perché si confessino per salvarsi l'anima in punto di morte (procedura, come spiega lui, assolutamente necessaria per poterli assolvere e in seguito permettere che vengano giustiziati): ma i carbonari, pur provando una certa simpatia per il frate, sono fermi nel loro ateismo oltre che nella loro opposizione al potere temporale dei papi, e rifiutano qualsiasi conforto religioso. Solo per un momento i due si illudono, sentendo rumori provenienti dall'esterno, che i romani siano dalla loro parte e ci sia stata la tanto sperata sollevazione popolare. Ma è solo una breve illusione e il risveglio è amaro. I popolani infuriati invadono la prigione, ma al contrario desiderano che l'esecuzione dei due avvenga al più presto, e si lamentano perché l'evento viene ritardato di continuo e molti di loro hanno affittato balconi e verande e temono di dover restituire il denaro.

Gli eventi sembrano dar ragione al cardinal Rivarola: il popolo non vuole la libertà, ma il quieto vivere e ogni tanto qualche diversivo, costituito nella fattispecie da un ghigliottinamento pubblico. Targhini e Montanari vengono così portati in Piazza del Popolo davanti al boia (allora chiamato, a Roma, Mastro Titta). In quel momento il povero frate irrompe e va verso i due. Nonostante le sue suppliche (inascoltate) al cardinale di liberare i due, decide almeno di assolverli nella pubblica piazza, ma viene bloccato proprio su ordine di Rivarola e trascinato via.

I due devono essere giustiziati senza neanche il conforto dei sacramenti. Decapitato per primo Targhini, Montanari sale per secondo sul patibolo. "Siete l'omo più moderno de Roma" dirà ironicamente Montanari al boia, sottolineando che rispetto alla società di antico regime quella della Restaurazione aveva riportato indietro la società al secolo precedente lasciando solo, come unica innovazione, la ghigliottina.

Anno

1969 (55 anni fa)

Titolo originale

Nell'anno del Signore

Genere

Drammatico, Storico

Durata

120 minuti (2 ore)

Regia

Luigi Magni

Film di Luigi Magni

Data di uscita

venerdì 24 ottobre 1969

Poster e locandina

Attori del film Nell'anno del Signore

Nino Manfredi nel ruolo di Pasquino
Enrico Maria Salerno nel ruolo di Colonnello Nardoni
Claudia Cardinale nel ruolo di Giuditta Di Castro
Robert Hossein nel ruolo di Leonida Montanari
Renaud Verley nel ruolo di Angelo Targhini
Alberto Sordi nel ruolo di Frate
Stelvio Rosi nel ruolo di ufficiale guardie
Ugo Tognazzi nel ruolo di Cardinal Rivarola
Pippo Franco nel ruolo di Bellachioma
Enzo Cerusico nel ruolo di uno dei carbonari
Britt Ekland nel ruolo di Principessa Spada
Stefano Oppedisano nel ruolo di ragazzo ubriaco
Franco Abbina nel ruolo di Principe Spada
Marco Tulli nel ruolo del capitano delle guardie

Doppiatori italiani

Giuseppe Rinaldi nel ruolo di Leonida Montanari
Massimo Turci nel ruolo di Angelo Targhini
Rita Savagnone nel ruolo di Giuditta
Maria Pia Di Meo nel ruolo di Principessa Spada
Pino Locchi nel ruolo di Bellachioma
Gualtiero De Angelis nel ruolo di prete e frate del convento
Ferruccio Amendola nel ruolo di oste
Franco Latini nel ruolo di Principe Spada
Max Turilli nel ruolo del capitano delle guardie

Premi

1 David di Donatello 1970 Miglior Attore Protagonista (nino Manfredi)

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Soggetto e sceneggiatura

Luigi Magni

Musiche

Armando Trovajoli

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