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Attilio Bertolucci
Attilio Bertolucci
Poesie di Attilio Bertolucci - pagina 3
Attilio Bertolucci
Poeta italiano
18 novembre 1911 - 14 giugno 2000
Frasi in elenco
:
26
‐
Pagina:
3
di
3
Puoi trovare le
frasi di Attilio Bertolucci
anche in questi temi:
Fiato
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Battaglia
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Sei stata mia compagna di scuola
|
ma hai un anno meno di me
|
abbiamo un bambino che va a scuola mi
|
sono innamorato di te...
|
Fingerò d'essere una tua scolara
|
che s'è innamorata di te
|
mi sono fatta una frangetta
|
per cenare fuori con te...
|
Cerchiamo una locanda piccina
|
nella città ma non c'è
|
inventiamola affacciata sul fiume
|
che allevò me e te...
|
Di acqua nel fiume che è nostro
|
ce n'è e non ce n'è...
|
Inventerò un nuovo mese
|
ricco d'acqua per te...
|
Che si rifletta in me
|
nei miei occhi
|
china dalla veranda inverdita
|
sull'acqua che somiglia la vita
|
rubandomi e restituendomi a te.
[Recensione a Fernanda Romagnoli]
Così da una passeggiata di villeggianti, con voci che si fanno versi ai limiti della prosa ‐ "Non perdersi di vista", "Seguire la salita ‐ nei segnali degli alberi" ‐ ci colpisce improvvisamente, alla fine, lo stacco ansioso della tensione verso il "banchetto" mistico.
Ritorna ai rami il fuoco di gennaio
|
intenerito, di neve i colli non lontani
|
rallegrano l'ozioso pomeriggio
|
alle porte della città.
|
Il giorno è popoloso sino a che s'accende
|
sul ponte il lampione
|
e inonda l'acqua di ferro fiorito.
C'è in questi versi...
[di Fernanda Romagnoli]
il segno di un destino poetico, volto a una confessione di continuo sollevata dal puro diarismo per il rovello e l'attesa di una rivelazione, nella linea della grande Dickinson, di Cristina Rossetti. Esso nasce dall'ininterrotto scontro tra il quotidiano e il visionario. "Gli eletti hanno accesso all'anticamera", "Col mio scettro d'insonnia per la casa", "Chi mi percorre in sonno i corridoi ‐ delle arterie...": colei che ha saputo darci metafore così fulminee non si è mossa che pochissimo dal suo appartamento borghese, o lo ha fatto per trasferirsi in un posto di vacanza.
Che il sole dopo la neve
|
appaia, e le nuvole si tingano di rosso
|
come schiave: la neve sui tetti
|
un rossore colorirà, guancia di principessa.
|
S'alzi un leggero vento
|
e spenga l'acqua, che s'era addormentata,
|
con assonnata voce di pastore;
|
escano fanciulle con scialli,
|
lampeggiando gli occhi neri,
|
e improvvisamente corrano punte dall'aria
|
simili a uccelli che s'alzino a volo.
|
E gli zingari rubino ragazzi.
Questo che vedete qui dipinto in sanguigna e nero
|
e che occupa intero il quadro spazioso
|
sono io all'età di quarantanove anni, ravvolto
|
in un'ampia vestaglia che mozza a metà le mani
|
come fossero fiori, non lascia vedere se il corpo
|
sia coricato o seduto: così è degli infermi
|
posti davanti a finestre che incorniciano il giorno,
|
un altro giorno concesso agli occhi stancatisi presto.
|
Ma se chiedo al pittore, mio figlio quattordicenne,
|
chi ha voluto ritrarre, egli subito dice
|
uno di quei poeti cinesi che mi hai fatto
|
leggere, mentre guarda fuori, una delle sue ultime ore.
|
È sincero, ora ricordo d'avergli donato quel libro
|
che rallegra il cuore di riviere celesti
|
e brune foglie autunnali; in esso saggi, o finti saggi, poeti
|
graziosamente lasciano la vita alzando il bicchiere.
|
Sono io appartenente a un secolo che crede
|
di non mentire, a ravvisarmi in quell'uomo malato
|
mentendo a me stesso: e ne scrivo
|
per esorcizzare un male in cui credo e non credo.
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