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Phil Knight
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Frasi di Phil Knight - pagina 4
Phil Knight
Imprenditore statunitense, fondatore...
24 febbraio 1938
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75
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Pagina:
4
di
8
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La gente presume che la competizione sia sempre una buona cosa, che tiri fuori sempre il meglio dalle persone, ma ciò è vero soltanto per chi riesce a dimenticarla. L'arte di competere, ho imparato correndo, era l'arte di dimenticare
Un momento d'oro della mia vita. Le vendite della Nike erano stabili, mio figlio cresceva sano, riuscivo a pagare puntualmente le rate dell'ipoteca. Tutto sommato, ero di ottimo umore quell'agosto. E poi cominciarono i guai. Nella seconda settimana delle Olimpiadi, una squadra di otto uomini armati e mascherati scalò il muro di cinta del villaggio olimpico e rapì undici atleti israeliani. Portammo un televisore nel nostro ufficio di Tigard e smettemmo totalmente di lavorare. Restammo incollati alla tv un giorno dopo l'altro, in silenzio, spesso con le mani sulla bocca. E quando si arrivò alla catastrofe, quando i notiziari rivelarono che tutti gli atleti erano morti, i corpi riversi sull'asfalto macchiato di sangue dell'aeroporto, ripensammo tutti alle morti dei due Kennedy, di Martin Luther King, degli studenti della Kent State, e delle decine di migliaia di ragazzi in Vietnam. La nostra era un'epoca difficile, che grondava sangue, e almeno una volta al giorno eravamo costretti a chiederci: ma che senso ha?
Stavamo cercando di creare un marchio, gli dissi, ma anche una cultura. Combattevamo contro il conformismo, la noia, il lavoro ingrato. Più che un prodotto intendevamo vendere un'idea, uno spirito. Non so se avevo mai compreso appieno chi fossimo e che cosa stessimo facendo, finché non mi sentii dire tutto quanto quel giorno
«Nessuna idea brillante è mai nata in una sala riunioni» garantì Stahr al Danese. «Ma in compenso ci sono morte un sacco di idee cretine.» FRANCIS SCOTT FITZGERALD, L'amore dell'ultimo milionario
Nei dieci anni trascorsi dai titolacci in prima pagina e da quelle sensazionali denunce, abbiamo sfruttato la crisi per reinventare l'azienda. Per esempio. Uno degli ambienti peggiori in una fabbrica di scarpe è il reparto gomma, quello dove si saldano insieme suole e tomaie. I fumi sono soffocanti, tossici e cancerogeni. Quindi abbiamo inventato un legante a base d'acqua che non rilascia fumi, eliminando così il 97 per cento degli agenti cancerogeni nell'aria. E abbiamo consegnato questa invenzione ai nostri concorrenti, a chiunque la volesse. Tutti hanno accettato. E adesso quasi tutti la utilizzano. Questo è solo uno dei molti, molti esempi.
Poi, però, riflettevo: qualunque cosa stia facendo, è evidente che funziona, perché gli ammutinamenti sono rari. In effetti, dopo il caso di Bork, nessuno aveva più piantato grane su niente, nemmeno sul suo stipendio; una cosa mai vista in nessuna azienda, grande o piccola che fosse.
Gli esseri umani portano scarpe fin dall'era glaciale, dissi, e la loro forma non è cambiata più di tanto in quarantamila anni. Non c'è stato un reale progresso dalla fine dell'Ottocento, quando i calzolai hanno iniziato a dare alla scarpa sinistra una forma diversa da quella destra, e le fabbriche di gomma hanno cominciato a produrre suole. Non mi sembrava molto probabile che, arrivati a questo punto della storia, si potesse inventare qualcosa di così nuovo, di così rivoluzionario. «Scarpe ad aria» mi suonava un po' come «zaino a reazione» o «marciapiede mobile». Roba da fumetti di fantascienza.
«È meglio che stiate alla larga dal ragazzino che gioca sul campo 14.» «Perché?» «Perché è una testa calda.» Andai dritto al campo 14. E mi innamorai perdutamente, alla follia, di uno studentello di New York dai capelli crespi di nome John McEnroe.
Non esisteva la cifra giusta. Era tutta una questione di opinioni, sensazioni, vendita: per gran parte degli ultimi diciotto anni non avevo fatto altro che vendere, ed ero stufo. Non volevo più vendere. Le nostre azioni valevano 22 dollari l'una. Quella era la cifra, ce l'eravamo guadagnata. Meritavamo di collocarci nella fascia alta di prezzo. Quella stessa settimana si stava quotando in Borsa un'azienda che si chiamava Apple, che aveva fissato il prezzo delle azioni a 22 dollari, e noi valevamo quanto loro, dissi a Hayes. Se un manipolo di tizi di Wall Street non la pensava così, ero pronto a ritirare l'offerta.
Quale che sia lo sport – o la meta, in realtà –, l'abnegazione totale conquisterà sempre il cuore della gente.
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